Fanfiction di Luce

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    COME LA VEDO IO SE DUKE E RUBINA SI FOSSERO SPOSATI
    Whath if


    1-17017666768177


    La porta della sala centrale del palazzo reale fleediano si aprì, e la figura slanciata e provocante di Rubina si stagliò nel rettangolo.
    Aveva un abito dello stesso colore dei capelli, inguinale e aderente come una seconda pelle, trucco sapientemente studiato, capelli freschi di parrucchiera.
    Lei e Duke erano sposati da pochi mesi; lui la guardò sorpreso e le chiese:
    " Sei bellissima, ma dove vai così elegante, non ricordo avessimo appuntamenti."
    "Per forza, IO ho un appuntamento: devo andare a trattare col Primo Ministro per delle questioni che tu trascuri, se non ci penso io qui tutto va a rotoli."
    "Davvero? Ma di quali questioni parli?"
    "Lascia stare, piuttosto vedi di riprendere il giardiniere che da settimane non taglia l'erba e la domestica che cucina da schifo e lascia pure i capelli nella minestra!"
    "Senti Rubina, di questo possiamo parlarne domani, piuttosto quel tipo... cioè… tu sola con lui, così vestita, non so se..."
    Lei lo guardò con aria di compatimento dicendo: "Come sei scemo poverino, credi che non sia in grado di farmi rispettare? Tu, piuttosto, vedi di farti intendere coi tuoi dipendenti."
    Se ne andò chiudendo sgarbatamente la porta ancheggiando sui tacchi a spillo.

    Pochi minuti dopo suonò il telefono.
    "Duke, sei tu?"
    "Naida, che piacere sentirti!"
    "E' molto che non ci vediamo, quando possiamo incontrarci?"
    "Anche adesso, come vedi io sono a casa, se vuoi passare di qui".
    "Allora, a tra poco."
    "Naida!"
    "Duke!"
    "Finalmente, che bella sorpresa, entra, sono solo in questo momento."
    Naida entrò: era sempre molto bella, ma aveva nel viso un'ombra di sofferenza, si vedeva che aveva patito molto per la loro separazione anche se cercava di non darlo a vedere, la nostalgia del loro rapporto era evidente in tutta la sua persona. Tuttavia, mantenne sempre un regale contegno e si accomodò sul divano.
    Era a disagio, voleva iniziare un discorso ma non si decideva, doveva essere qualcosa di delicato.
    "Senti Duke, io... cioè volevo sapere come va la tua vita, come ti trovi da sposato, va tutto bene?"
    "Beh, sì, direi di sì. Rubina è molto giovane e penso che per lei non sia semplice abituarsi a una nuova vita, addirittura un pianeta diverso, cerchiamo tutti di non farle mancare niente, i miei genitori l'adorano. Stasera è uscita, doveva incontrarsi con qualcuno per delle questioni burocratiche..."
    Naida lo interruppe all'improvviso balzando in piedi.
    "Lei non è andata per quello che tu dici... e non è la prima volta, lo sanno tutti..."
    "Cosa vuoi dire?"
    "Non capisci? Rubina fa quello che vuole, praticamente dall'inizio che vi siete sposati, lei ... ecco... conosce molti uomini..."
    Duke prese le distanze da Naida, la guardò inorridito, lei abbassò lo sguardo e gli occhi le si riempirono di lacrime.
    "Mi dispiace, ero venuta qui... non ero sicura di parlare del fatto, ma ti ho visto così ben disposto verso di lei... lei che non ti merita... allora non ho potuto fare a meno di dirtelo."
    Silenzio nella sala per lunghi minuti.
    Poi, nella mente del Principe si affollarono tanti episodi, fatti strani, apparentemente cose da niente, ma ora messi insieme alle parole di Naida acquistavano un significato ben preciso.

    Durante le prime settimane di matrimonio la loro intimità era stata gradevole e faceva ben sperare per il futuro; in seguito Rubina era diventata via via sempre più insofferente e al tempo stesso ad avere un aspetto sempre più ricercato.
    Se lui le si avvicinava lei si spostava dicendo: "Lasciami, non vedi che ho appena fatto la messa in piega?", oppure: "Non toccarmi, mi sono appena messa lo smalto alle unghie."
    Quando cercava di coinvolgerla a sane attività sportive, corse all'aperto, lei lo guardava male, quasi dicesse: "Che razza di sovrano potrai mai diventare, se pensi a queste sciocchezze."

    Duke si avvicinò a Naida e aspirò il profumo semplice e discreto dei suoi capelli e subito gli comparvero davanti agli occhi le loro corse nei prati, le nuotate al lago, le soste lungo le spiagge assolate. Il suo sguardo trovò riposo in quel viso senza trucco, si accorse di non ne poterne più di colori chiassosi, atteggiamenti troppo sofisticati.
    D'impulso corse ad aprire la portafinestra: il profumo che Rubina aveva lasciato nella sala era insopportabile, lui cercava di farselo piacere, ignorando i mal di testa e il penoso senso di nausea che gli procurava.
    Si soprese addirittura a ricordare con nostalgia gli scherzi di Sirius... e anche alle volte che li aveva sorpresi in atteggiamenti ai quali un bambino di quell'età è opportuno passino inosservati.
    Lui e Naida sedettero sul divano vicini in modo discreto: avevano entrambi delle ferite aperte, visibili, volevano consolarsi a vicenda e temevano di farsi altro male, così poco alla volta si presero le mani, lievi carezze, baci delicati, casti e amichevoli, non c'era passione, ma molto di più, incapaci di staccarsi l'un l'altro. Rimasero a lungo uniti in abbraccio delicato ma molto profondo e alla fine si addormentarono.

    Sulla Nave Madre, a guardare sul grande schermo sintonizzato col Palazzo Reale sul quale erano state collocate una miriade di micro telecamere, c'erano Rubina e la sua ultima conquista, Zuril, Gandal e Hydargos. Re Vega era visibile dal video gigante davanti a loro.

    Rubina sorrideva soddisfatta: era stata una dura lotta, ma ora il traguardo era raggiunto, questa immagine dei due abbracciati sul divano era la prova del tradimento da lei voluto e provocato, ora il motivo di attaccare il Pianeta e ammazzarli tutti, c'era.
    Avevano già disposto delle bombe ovunque, bastava schiacciare un pulsante e in un secondo tutti sterminati, soprattutto avevano portato Goldrake in un posto sicuro.
    Non era stato per niente semplice: il suo regale consorte era un osso duro, aveva pazienza, per non parlare poi dei suoi suoceri. La veneravano, la vedevano perfetta, una specie di dea.
    Ricordò le parole che le diceva spesso la Regina:
    "Cara, tu per noi sei come una figlia lo sai, poi da tempo non hai la mamma, io per te sono come una madre, quando senti nostalgia della tua casa, di tuo padre, delle tue amicizie, puoi andarci per qualche giorno quando vuoi, sentiti libera, mi raccomando, sei tanto giovane, hai diritto a divertirti: sai mio figlio è spesso impegnato coi suoi doveri, ma tu fai come fossi a casa tua, lo sai vero che questa è la tua casa?"
    "Certo che lo so!" disse Rubina con voce aspra e lievemente tremula verso tutti i presenti nella sala.
    "Questa è davvero casa mia, e lo sarà per sempre, mia e basta, non puoi credere quanto io la consideri mia."
    Cominciò a parlare di tutti i fatti avvenuti nei mesi del suo matrimonio, quello che per lei era stato tutto orribile e insopportabile: gente buona, mai un'invidia, un pettegolezzo, tutti che si aiutavano.
    I Re di Fleed non erano per niente altezzosi o superbi e si preoccupavano per tutti anche in prima persona; trattavano i dipendenti quasi a loro pari, si preoccupavano per la loro salute, dei loro familiari. Il giorno in cui aveva scoperto che tutti ricevevano ben quattordici mensilità e avevano dato un alloggio gratis ad una famiglia in difficoltà le erano venuti i conati di vomito.
    Via via che raccontava, la sua voce diventava a tratti alta, poi isterica e tremante, a volte si sentiva il pianto a fatica trattenuto, si era repressa per tutti quei mesi e adesso aveva bisogno di sfogarsi.
    Nel suo sguardo non c'era nemmeno un'ombra di innocenza, c'era odio, risentimento, volontà di distruggere; sparita la voce di Candy, anzi non si sa come somigliava sempre di più a quella di Lady Gandal e la sua espressione facciale era in forte competizione con Crudelia Demon.
    Doveva apparire davvero fuori dalle righe, visto che Hydargos le porse la coppa del suo pregiato cognac gran riserva di un'annata molto speciale, ottenuto con non poca fatica.
    Re Vega intervenne dicendo di andarci piano con i liquori ai quali lei non era abituata.
    Allora Rubina esplose in un atto violento stringendo con veemenza i piccoli pugni:
    "Bevo quello che voglio e quanto voglio! Sono stanca di roba sana, delle salutari spremute del mattino ingollate a tavola tutti insieme a colazione nel giardino di casa con la bianca tovaglia di fiandra, o della tisana della sera che il mio amato consorte mi portava con tanta premura quando ero già a letto, che schifo! Basta con le manie salutiste, con il depuratore anti-inquinamento che i miei adorati suoceri avevano fatto costruire, se poi questo portava in rosso i conti delle Casse Reali, chi se ne frega, per loro contava la salute e non solo la loro, beninteso, ma di tutto il pianeta e dei suoi abitanti!"
    Ormai era un fiume in piena non si tratteneva più e infatti aggiunse:
    "Basta anche col bacio della buonanotte che mi toccava subire dai due sovrani a da quella mocciosa di Maria, che neanche farlo apposta aveva sempre la bocca sporca di latte e briciole.
    Una marmocchia rompiscatole che mi seguiva ovunque con sguardo sognante, voleva sempre giocare, le dovevo raccontare delle storielle, ficcava le sue sudice mani nella mia roba.
    La sera passavo almeno mezz'ora a sfregarmi la faccia con la carta vetrata per cancellare tutte le loro tracce."
    Per concludere la sfuriata, con un calcio lanciò in aria una alla volta con violenza le sue preziose scarpe con tacco alto di vernice rosso rubino; la prima finì incastonata tra i cristalli del lampadario e la seconda fuori dalla finestra polverizzandosi nella stratosfera.

    A quel punto, Re Vega cominciò a chiedersi preoccupato se non avesse esagerato a mandare la sua unica figlia così allo sbaraglio. Si sarebbe mai più ripresa?
    E' anche vero che l'idea era partita dalla stessa e tutti avevano concordato come una trovata eccellente.

    In un noioso e grigio pomeriggio di fine inverno, Rubina era sola in casa e, stanca di vagare da una stanza all'altra senza sapere cosa fare, aveva buttato una mano dentro uno scatolone pieno di videocassette ordinate via etere. Ne aveva scelta una a caso, senza neanche guardare di cosa si trattasse. Tra uno sbadiglio e una rosicchiata alle unghie, poco alla volta si era interessata al video. Si trattava di un film straniero dal titolo "Divorzio all'italiana" e da lì era stata ispirata a mettere in atto la sua azione diabolica per invadere il pianeta Fleed e intanto che c'era, perchè no, tutto l'Universo.
    Le invasioni sono come le ciliegie, una tira l'altra.

    Alla fine del film era tutta pimpante e piena di entusiasmo. Telefonò alla sarta, alla parrucchiera, all'estetista, poi buttò dalla finestra le scarpe da tennis, le tute da ginnastica informi, capi sportivi o troppo infantili, anche l'orsetto di peluche col quale dormiva da quando era piccola e tutta la serie di anatroccoli di gomma coi quali si divertiva a fare il bagno.
    Con quegli oggetti in circolo non poteva certo pensare di conquistare il Principe di Fleed.
    Via ogni residuo d'infanzia e quello stile Lolita finto ingenuo, cioè all'inizio poteva anche servire, poi l'opera di seduzione doveva essere più intelligente e studiata.
    In seguito, c'era stato il fidanzamento ufficiale e il matrimonio.

    A onor del vero, quando un mese prima Re Vega l'aveva convocata nella Sala del Trono per prospettarle il fidanzamento con questo Duke Fleed, lei pareva aver snobbato l’idea e si era limitata a risponderli con enormi palloni con le gomme da masticare rosa che si era infilata in bocca con indolenza una dietro l'altra, ed era uscita piano dalla stanza e nemmeno nei giorni successivi c’era stato verso di convincerla. Ma ora... ora tutto era diverso e l'idea meravigliosa.
    Adesso era il momento di ammazzarli tutti, il filmato con la prova del tradimento c'era.
    Bisognava essere sicuri che dei fleediani non ne rimanesse vivo nemmeno uno, perchè se si fossero riprodotti, il pericolo della loro bontà d'animo e altruismo era grave, essendo forse un fatto ereditario; con la speranza che poi si trattasse solo di un fatto di cromosomi e non un virus contagioso, altrimenti avendo convissuto con loro per tutto quel tempo... un brivido la scosse tutta... meglio non pensarci.

    Rubina rigirò a lungo con lo sguardo la scatola della videocassetta col film ispiratore: da dove proveniva?
    Boh, sembrava dall'Italia, ma di che pianeta si trattava? Mai sentito nominare!
    Passò un'ora buona al computer e, dopo tanto cercare, scoprì che l'Italia era solo una penisola dalla strana forma di stivale appartenente al Pianeta Terra.
    “Pianeta Terra: grande, azzurro, rigoglioso, subito dopo Fleed sarà mio", pensò Rubina fissando un punto lontano con gli occhi stretti in due fessure. "E dopo quello... una cosa alla volta, ho tanto tempo davanti e nessun ostacolo."
     
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    VACANZE ROMANE

    1-17017692540319


    Quel giorno Re Vega aveva convocato tutti: Gandal, Zuril e Hydargos.
    Per l'ennesima volta stavano progettando di costruire una base sottomarina sulla Terra, alla quale andava annessa un'altra base di collegamento vicino al Centro di Ricerche Spaziali in Giappone e, visti i precedenti tentativi tutti falliti, il sovrano aveva deciso una sua particolare strategia.
    "Vi ho convocato qui tutti per stabilire un nuovo piano..."
    "Sì, Maestà, siamo pronti", risposero in coro i tre subordinati.
    "Silenzio!" Urlò il sovrano battendo un pugno sul tavolo. "State bene attenti, questa volta è impossibile sbagliare, sia chiaro che se fallirete, verrete sostituiti all'istante e per sempre, chiaro? Voi due, Zuril e Hydargos scenderete sulla Terra, ma prima di andare a costruire le basi, sappiate che vi ho iscritti a un corso intensissimo della durata di due settimane, che si terrà appunto sul pianeta che intendiamo conquistare, ove vi recherete con false identità terrestri.
    Questo luogo è distante dal Giappone e, una volta terminato il corso, andrete diritti verso la base di Procton per mettere a punto il tutto. Vedete di fare bella figura, dato che è tenuto da illustri scienziati di chimica, fisica, astronomia; terminato questo, mi aspetto che la Terra sia nostra in un battito di ciglio, chiaro?"
    I tre assentirono con vigorosi cenni del capo, intanto Zuril e Hydargos fecero subito armi a bagagli e si diressero come razzi verso la Terra.

    Una volta atterrati, osservarono bene la piantina e il monitor, sì erano arrivati, il luogo era quello indicato: Roma, la Città eterna, il loro alloggio si trovava in mezzo a molto verde, in una villa enorme, Via Appia Antica.
    Suonarono al cancello e dopo pochi istanti, venne loro incontro una donna di bassa statura, di stazza piuttosto robusta, con molta premura e cordialità, aprì il cancello, li fece entrare e mostrò loro la stanza, grande quanto una piazza d'armi con un altissimo soffitto a cassettoni.
    "Ben arrivati, avete fatto buon viaggio? Entrate, piacere, io sono Miriam, mi occupo di tutto io, dal mangiare al rigovernare, al bucato e quando avete bisogno chiamate pure: adesso riposate, sarete stanchi del viaggio, fa così caldo, ma qui è sempre così in estate, fate pure come foste a casa vostra. Tra un'ora la cena sarà servita al piano terra."
    I due alieni si guardarono, quindi misero a posto le loro cose e accesero subito il computer, si collegarono alla base lunare per informare il loro sovrano che erano appena arrivati.
    "Voglio essere aggiornato ogni sera di tutto quello che studiate, mi raccomando di carpire quante più notizie possibile, fate molte domande a tutti, anche ai compagni di studio, non mi deludete. Badate che vi tengo d'occhio ogni momento col computer e via radio, avete sentito?"
    "Sì Maestà, daremo il meglio di noi stessi" risposero in coro.

    Verso le otto del mattino seguente, dopo una colazione abbondante e servita con premura dalla servizievole donna tuttofare, i due alieni si avviarono verso l'EUR, dove appunto si teneva il corso al quale erano iscritti. Logicamente, avevano nascosto le loro astronavi e per muoversi usavano i mezzi pubblici.
    Da seguire avevano un protocollo duro e faticoso: prime due ore chimica studiata e applicata, fisica, test da superare, appunti da aggiornare di continuo.
    Verso le tredici, ebbero un'ora di pausa per mangiare e riprendersi: si sentivano il cervello liquefatto, la testa girava e faticavano a connettere e orientarsi.
    Si diressero tuttavia verso il bar e vennero subito fermati dai loro compagni di studio, i quali molto allegri e socievoli li coinvolsero nei loro discorsi: "Da dove venite? Quanto tempo rimanete?
    Ah, fate tutto il corso? Bravi, io due giorni, seguo solo chimica, mi serve per la mia attività di ristoratore..."
    Chi aveva parlato era uno spagnolo di nome Miguel, aveva un esercizio di ristorazione a Valencia, voleva perfezionare i suoi piatti approfondendo la chimica appunto, disse di essere stato tempo addietro un abile torero andaluso, poi aveva cambiato mestiere e regione, vantava anche di essere un brillante ballerino di flamenco, non la smetteva più di raccontare di sè.
    Alla fine venne fuori che anche lui era alloggiato nella loro villa, quindi si salutarono con la promessa che lui la sera stessa li avrebbe deliziati con i suoi piatti spagnoli.

    Vicina di banco avevano una signora italo-tedesca che simpatizzò subito con loro, si chiamava Martha, disse che si divideva per il suo lavoro di insegnante tra l'Italia e l'Austria; mostrò loro una fotografia raffigurante una solitaria baita di montagna situata sopra un'alta alpe svizzera.
    "Durante le ferie o appena posso ci vado sempre, mi sembra di essere in paradiso, non c'è rumore nè inquinamento, una vera delizia! Vi dò il mio numero e indirizzo, così se volete potete venire a trovarmi quando non sapete dove andare."

    I due extraterrestri erano piuttosto confusi, comunque, tra una lezione, un test, appunti e frasi amichevoli, finalmente arrivò l'ora di tornare a casa.
    Si sentivano a pezzi: era piena estate, un caldo e un'umidità a loro sconosciuti, tutte quelle ore di immobilità avevano gonfiato loro i piedi in maniera indescrivibile. Il viaggio di ritorno era stato un martirio, dato che l'autobus era pieno zeppo di gente, tra l'altro con scarsa o per meglio dire, assente educazione. Tutti parlavano ad alta voce, si spintonavano quando dovevano passare senza mai chiedere permesso e lo stare tutti così appiccicati metteva a dura prova il loro sensibile olfatto, dato che erano passate un bel po' di ore dalla doccia del mattino e anche il deodorante aveva segnato il passo.

    "Appena arrivati dobbiamo subito aggiornare Re Vega, siamo anche in ritardo, speriamo non sia arrabbiato."
    Entrarono nella stanza e accesero il computer: il sovrano aveva l'aria impaziente e scarsamente amichevole nei loro confronti, ma i due lo prevennero dicendo:
    "Oggi abbiamo studiato molto e siamo arrivati solo ora, dobbiamo relazionare gli appunti, domani sera avrete tutto, Maestà."
    Chiusero in fretta la comunicazione e scesero per la cena.
    Li accolse un profumo a loro sconosciuto e molto buono. Miguel disse loro di fare svelti, era già pronto: anche Miriam era indaffarata a sistemare tutto e li invitò a prendere posto a tavola.

    La cena fu buonissima, non solo per il cibo e le bevande, ma anche per la compagnia. Ascoltarono tanti racconti spagnoli mai lontanamente immaginati, fotografie dei luoghi, aneddoti sui toreri più famosi, feste, sagre: "... e mi raccomando, non potete mancare alla fiera di aprile, è una cosa unica. L'anno prossimo dovete venire assolutamente a Siviglia, io ci vado ogni anno in qualità di aiuto cuoco: in quell'occasione abbiamo i migliori ballerini di flamenco, i toreri più bravi, i tori più belli, i piatti più squisiti che mai potete immaginare. Allora, questo è il mio indirizzo, vi aspetto, è una promessa vero? Tra due giorni io parto."
    Tra una cosa e l'altra si fece mezzanotte, quindi tutti si ritirarono, dato che l'indomani li attendeva una giornata non meno faticosa di quella appena trascorsa.

    Era notte fonda, ma i due alieni non riuscivano a prendere sonno: tutti gli avvenimenti del giorno li avevano fatti sentire strani, sì, perchè erano stati veramente bene. Sapevano di essere in territorio nemico, erano lì per conquistare la Terra, solo che avevano una gran confusione in testa.
    Sentivano ancora in bocca il sapore di quella paella valenciana a dir poco divina, poi quell'enorme recipiente di sangria veramente eccezionale; chissà se ce ne era rimasta ancora, quasi quasi un salto al pianterreno per averne un'altra una coppa (col caldo che avevano patito, tra l'altro, ci sarebbe proprio voluta) l'avrebbero fatto volentieri, pensarono all'unisono.

    Quante cose nuove avevano conosciuto in poche ore: mentre loro due e Miriam stavano coi piedi a mollo in un grande recipiente di acqua fredda per tentare di riportare le loro estremità alla taglia originaria, Miguel si era esibito in un ballo tipico spagnolo zingaresco, mentre al tempo stesso citava a memoria alcuni versi di Garcia Lorca, narrava delle casbah nel cuore di Granada e intanto, in fondo alla camera su un grande schermo, correvano le immagini del film "Sangue e arena".
    Quello spagnolo era un vero portento: basso di statura, ma forte e affilato come una lancia, pareva avere l'argento vivo addosso, non si stancava mai. Miriam era veramente estasiata e, benchè non la spaventasse minimamente il super lavoro, quella sera aveva molto gradito che qualcuno si occupasse della cena; anche lei aveva bisogno di un diversivo dopotutto.

    Nella stanza in penombra di quell'enorme villa immersa in un giardino circondato da alberi secolari, i due ospiti si trovarono, senza volere, a fare dei paragoni e bilanci sulle loro vite e non ci capivano più niente. In pratica, finora, la loro esistenza era stata una lotta incessante per invadere, occupare, vandalizzare un considerevole numero di pianeti, ma poi quando mai si godevano la vita o qualche giorno di meritato riposo? Inoltre, queste invasioni, genocidi, rivolte soffocate nel sangue, dove li avevano portati? Da poco il pianeta Vega era esploso causa il forte inquinamento al vegatron, ora erano accampati perennemente sulla base lunare la quale non aveva niente di buono, solo aria condizionata e cibo immangiabile. Il loro continuo obiettivo era studiare strategie per conquistare la Terra, venire poi sistematicamente sconfitti, quindi collezionare umiliazioni e rimproveri da parte del loro sovrano e non solo: per ben due volte erano stati sostituiti da personaggi a loro dire molto bravi e capaci, li avevano disprezzati guardandoli dall'alto in basso come fossero bambocci e loro, per tenersi il posto, avevano dovuto eliminarli, facendo ovviamente credere a Vega che erano invece stati sconfitti dai terrestri durante il combattimento.

    Dopo qualche ora di queste elucubrazioni mentali, riuscirono a prendere sonno e il mattino seguente erano di nuovo al loro posto e con le orecchie ben aperte per seguire il corso intensissimo e faticosissimo.
    All'uscita vennero immediatamente fermati dai loro compagni di corso, i quali li apostrofarono con un allegro:
    "Stasera usciamo, andiamo in Trastevere, si mangia benissimo e ci si diverte, venite vero? Vietato dire di no!"
    Fu così che, Zuril e Hydargos, senza quasi rendersene conto, si trovarono sospinti dal gruppo e approdarono in un quartiere romano che li lasciò senza fiato.

    A notte fonda, decisamente brilli e intontiti rincasarono e videro che dalla loro porta chiusa, in basso, uscivano a sprazzi dei forti bagliori multicolori: cosa potevano essere? Lampi, tuoni? No, era una serata splendida. Dall'interno della stanza provenivano anche strani rumori: che fossero dei ladri?
    Con cautela aprirono e si accorsero che dal computer acceso, appariva l'immagine di un re Vega arrabbiatissimo, al punto che il monitor si spostava da solo: il sovrano appariva ancora più mostruoso del solito.
    "Dove vi eravate cacciati?" ruggì così forte da far traballare un pesante cassettone del Maggiolini.
    "Sono ore che vi cerco! Mi dovete relazionare tutto, siete indietro di due giorni! Voglio subito il rendiconto o vi farò immediatamente sostituire! Ho già pronti due eminenti scienziati bravissimi, espertissimi e molto più volenterosi di voi!"
    "No..... scusate maestà..." balbettarono entrambi "Ci hanno trattenuto... tra pochi giorni ci sarà da sostenere un esame molto impegnativo e... quindi... ci siamo fermati per studiare meglio, sono argomenti difficili... ma vi assicuro che ci stiamo impegnando moltissimo... scusateci per favore..."
    "Va bene, va bene, però che non si ripeta!" rispose seccato, chiudendo subito la comunicazione.
    I due alieni, in silenzio si prepararono per la notte e intanto continuavano a pensare.

    Dopo circa un'ora, Zuril si alzò e Hydargos che non dormiva fece altrettanto: entrambi erano seduti sulla sponda del letto e cercavano le parole per esprimere quello che premeva loro dentro.
    "Senti Hydargos, non so tu, ma io non ci capisco più niente..."
    "Anch'io" l'interruppe l'altro "Vedi... tra poco... appena avremo messo a punto il piano, questo pianeta sarà nostro..."
    "Sì, è vero" convenne Zuril, "Però tutto questo che stiamo vivendo scomparirà, perchè dopo ogni devastazione, invasione, tutto quello che era del pianeta viene distrutto quasi completamente: ti ricordi cosa ne è stato del pianeta Lupo, della stella Zari e la stella Delta?
    E che dire del pianeta Rubi? La principessa Rubina ormai si è stabilita là da tempo immemorabile, io non la vedo quasi mai; una volta espropriate le materie prime che ci servono, fatto dei genocidi, cosa ci è rimasto?"
    L'altro stette a pensare, poi Zuril continuò:
    "Ci è rimasto da conquistare la Terra e anche in fretta per i motivi che ben sappiamo, ma questa cosa ci fa perdere la stima di noi stessi e di re Vega, umiliazioni su umiliazioni; una volta conquistata, e non è detto che ciò avvenga date le numerose sconfitte che incassiamo di continuo, saremo costretti a fare la stessa cosa con altri pianeti, per poi alla fine non rimanere in mano niente o quasi. Tu cosa ne dici?"
    "Io dico che se devastiamo la Terra, una sangria come quella dell'altra sera, la rivediamo col fischio! Mi rendo conto adesso, che una cosa è ingoiare alcoolici per vizio o per dimenticare le sconfitte ad esempio, un'altra è il gusto, il sapore vero, quello che non avevo mai conosciuto."

    Da quando il pianeta Vega era esploso, che razza di vita conducevano? E andando avanti, come sarebbe stata?
    Passarono una notte quasi insonne e, verso l'alba, si decisero a sistemare le relazioni in modo ordinato che inviarono subito al loro sovrano, in modo da non ricevere altri rimproveri. Col solito autobus si recarono all'EUR mezzo assonnati e decisamente svogliati.

    Durante la pausa pranzo, Martha, la studiosa italo-tedesca, aveva preso sottobraccio Zuril e con fare complice gli aveva chiesto:
    "Io e i miei colleghi scommettiamo che entro la fine del corso il professore di fisica tutto d'un pezzo farà finalmente coppia fissa con la sua assistente, tu che ne dici? Hai visto come si guardano? Lui pian piano si sta sgelando, non è più così rigido e severo come all'inizio, io dico che sono davvero una bella coppia; sai, lei sembrava un tipo scialbo perchè non si curava nell'aspetto, ma non è così, è una bella ragazza invece, adesso lo si vede bene da quando ha cambiato look, questo le dona moltissimo!"
    Zuril guardò la donna con attenzione: non aveva nulla in comune con Rubina, era anzi piuttosto mascolina e tozza, il suo non era certo un profilo alla francese e i suoi occhi non erano i lembi del cielo limpido come quello della foto che raffigurava la sua baita in mezzo ai monti, ma aveva una simpatia innata, uno slancio sincero e senza complicazioni.
    Nel fargli quella confidenza non c'era stata la minima malizia o critica, ma una gioiosa partecipazione ad un lieto evento che si stava verificando.
    Sapeva di non avere mai avuto problemi con le donne, le sue conquiste erano state facili, tranne con Rubina, con la quale non riusciva a battere chiodo; si sentiva inoltre controllato da tutti, percepiva le invidie dei colleghi, le gelosie. Se per caso subiva uno smacco o una delusione, subito erano pretesti per scherzarlo con soddisfazione come non vedessero l'ora; qui non c'era niente di tutto questo, le persone apparivano più schiette e aperte.

    Man mano che i giorni passavano, i due alieni avevano sempre meno voglia di tornare da dove erano venuti: non ne parlavano, ma era come lo facessero, si sentivano sull'orlo di un baratro, e due giorni prima della fine degli studi, presero insieme una decisione prima di allora mai nemmeno lontanamente pensata.
    Avevano sistemato gli appunti negli archivi del computer, ogni sera erano stati molto diligenti a notiziare re Vega su tutte le materie apprese, i test erano stati brillantemente superati, in teoria dovevano essere pronti all'ennesima potenza per andare dritti filati in Giappone e mettere a frutto il tutto, eppure...

    "Senti Zuril, io ho già smontato tutto il mio video e ho trovato dove collocare i vari pezzi: uno va a finire in fondo al pozzo che si trova nel giardino, un altro in una buca profonda al confine con l'altra villa, questo invece..."
    "Cooome???!! E adesso se ci cercano dalla base lunare come facciamo, dato che i contatti si sono interrotti?!"
    "Semplice: fino all'ultimo usiamo il tuo computer, io sono ancora reperibile via radio, poi alla fine distruggiamo anche quelli e scappiamo, così non ci troverà più nessuno.
    Io voglio andare in Spagna, imparare il flamenco, allevare tori e avere sempre a disposizione la cucina di Miguel!"
    "Anch'io.... e poi... mi piace l'alta montagna..." disse Zuril con sguardo sognante e occhi a forma di piccoli cuori.

    Arrivò finalmente l'ultimo giorno di permanenza alla villa: Miriam li aiutò a preparare i bagagli, li ringraziò della bella compagnia, disse che quando volevano potevano tornare e lei ne sarebbe stata ben felice.
    Appena i due ebbero varcato la soglia del cancello, l'immagine che si presentò loro davanti li fece rimanere impietriti come i resti delle statue romane che occupavano tutta la lunghezza della strada.
    "Allora? Siete pronti? Svelti, non c'è un minuto da perdere, muovetevi, sono venuto anch'io perchè l'operazione è difficile e delicata. C'è anche mia figlia Rubina con la sua Queen Panther."
    Zuril e Hydargos rimasero per diversi minuti con la bocca a O, increduli e incapaci di parlare e muoversi.
    "Vi volete muovere?" li sollecitò Vega battendo energicamente le mani.
    "Svelti, dobbiamo fare presto; avete preso tutto?"
    "Noi... maestà.... dobbiamo salire un attimo nelle nostre camere, non.... non abbiamo ancora finito.... noi non pensavamo..."
    " Voi non DOVETE pensare, voi DOVETE scattare, chiaro? Siete dei buoni a nulla, guai a voi se il piano non funzionerà, ci siamo capiti? Filate a prendere tutto come dei razzi, veloci, forza!"

    I due disgraziati si sentirono come se una voragine li avesse improvvisamente inghiottiti. C'erano anche Gandal e signora, i quali avevano un gran voglia di parlare - o meglio sparlare - di qualche fatto: di certo si trattava di un gustoso pettegolezzo.
    Poco distante avevano intravisto la principessa Rubina alquanto alterata, decisamente arrabbiata e forse triste. Appena si furono un attimo ripresi, chiesero a Gandal:
    "Ma... Sua Altezza per caso, si è svegliata con la luna di traverso?"
    Velocissima prese la parola Lady Gandal, e con molta soddisfazione assentì con vigorosi cenni del capo.
    "Si trattasse solo di una luna, di molte lune vorrai dire.... Da quando è stata progettata questa spedizione sulla Terra, la principessa si era molto esaltata, perchè era convinta di poter di nuovo contattare il suo.... il suo ex... decisamente ex... diciamo... fidanzato? Ecco, lei ogni giorno gli mandava dei messaggi alla Base in Giappone, ma lui niente, mai risposto: non si è data per vinta, giorno e notte attaccata via radio, finchè un bel giorno l'ha visto che correva a cavallo in dolce compagnia. Sapete, con quella ragazza che pilota il Delfino Spaziale e si scambiavano sguardi davvero speciali; ad un certo punto sono scesi da cavallo e si sono fermati nei pressi di un laghetto per fare il bagno. Tanto per capirci, la loro intesa non è solo quando il velivolo di lei si aggancia in perfetta sincronia a Goldrake, nooooo, c'è molto di più tra loro e ovviamente Sua Altezza non l'ha presa affatto bene. Da allora dorme poco e male, ci tratta come pezze da piedi e ora, costretta a venire qui e toccare con mano lo smacco, è veramente troppo per lei."

    Zuril e Hydargos osservarono meglio Rubina e notarono che, in effetti, sotto gli occhiali da sole a forma di farfalla, erano malcelate due profonde occhiaie bluastre; era abbastanza sciupata, ma peggio di tutto, immusonita e tanto arrabbiata, quindi si dissero:
    "E' meglio starle lontano, perchè se ci morde, nemmeno due sieri antivipera ci salveranno la pelle!"
    Tuttavia Zuril volle essere gentile con lei e, prendendola delicatamente per il gomito, la guidò verso il suo velivolo, dicendole con cortesia: "Prego principessa, salite, noi siamo quasi pronti."
    Rubina si divincolò con energia stupefacente, urlandogli: "Levami quelle zampacce verdi di dosso, brutto verme schifoso, capito?!!! Non ho bisogno di nessuno io!"
    "Cosa vi dicevo?" ammiccò Lady Gandal sadicamente soddisfatta.

    Intanto la principessa cominciava a sentire gli effetti del bollore di quell'estate rovente: il numero di scarpa trentasei scarso, stava vertiginosamente virando al trentotto abbondante, quindi era rimasta scalza, tolta la tuta spaziale e indossato un miniabito tutto stazzonato che non aveva mai visto un ferro da stiro.
    "Rubina piantala!" le urlò il padre "E voi correte, entro due minuti di orologio si parte, questo è l'ultimo avvertimento!"

    I due, ci misero davvero solo pochi minuti per salire alla villa e tornare, per poi esclamare con desolazione e un filo di voce: "Maestà, ci hanno rubato tutto! Sì, gli appunti, il computer, non abbiamo più niente di quanto studiato in queste settimane, ci dispiace, ma..."
    Re Vega divenne un tutt'uno con un'immagine iperdiabolica, il suo colore epidermico attraversò tutte le sfumature che vanno dal rosa chiarissimo al rosso vermiglio-scarlatto. Dalle fauci schiumava rabbia, offese, insulti e improperi mai sentiti a memoria di terrestri e alieni e quando non ne ricordò più, tirò fuori il tablet dove erano indicati altrettanti epiteti scarsamente lusinghieri.
    "Adesso rimarrete dove siete, chiaro? Non metterete mai più piede su Skarmoon, voglio dimenticare le vostre facce, per me non siete mai esistiti, sparite all'istante!" urlò di nuovo, mentre le vene del collo si gonfiavano in maniera preoccupante e la pressione sanguigna saliva verso i trecento abbondanti.
    "Andiamo Rubina, precedici tu verso la base lunare, noi ti seguiremo" aggiunse con tono molto basso, visto che le tonsille ormai, le aveva lasciate a terra, su quel lastricato dove duemila anni prima gli antichi romani erano passati coi loro carri trainati da cavalli.
    A questa notizia, la principessa parve lievemente rasserenarsi; l'unica ad avere un vantaggio strettamente personale era proprio lei, dato che non doveva più andare a toccare con mano l'indifferenza del suo ex promesso sposo.

    Vega, Rubina e Gandal se ne andarono subito, a terra rimasero Zuril e Hydargos: non sapevano se essere contenti o meno. Dove sarebbero andati?
    Prima che potessero formulare la domanda, li raggiunse Miriam con in mano il rastrello che aveva appena usato per eliminare le foglie dal giardino, li guardò e, come fosse la cosa più normale del mondo disse: "Avete perso il treno? Poco male, domattina col fresco il viaggio sarà più piacevole: intanto vado a girare l'abbacchio, mi è venuto veramente bene, forza, venite, chiudete bene il cancello per favore, per stasera non aspetto più nessuno!"

    I due alieni sorrisero ed entrarono di nuovo nella villa romana.
     
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    APRILE… DOLCE DORMIRE

    1-17017699495646

    La primavera era esplosa all’improvviso e in tutto il suo splendore: quel mese di aprile era tutto un tripudio di colori brillanti, fiori, profumi nell’aria tiepida e al ranch Makiba tutti se ne erano accorti, si sentivano più in forma che mai e avevano tanta voglia di divertirsi.
    Il lavoro alla fattoria si era fatto più impegnativo con le mandrie da portare al pascolo, cavalli da governare, capre da mungere e stalle da sistemare.
    Gli animali soprattutto reclamavano i loro diritti e non ce la facevano a stare fermi, volevano uscire e correre a più non posso, quindi sporcarsi con conseguente maggior lavoro per Venusia, Actarus e Alcor, i quali parevano seguire il motto: “Voglia di lavorare saltami addosso”.

    Inutile dire che Rigel se ne accorgeva subito e non faceva che riprenderli, dando lui stesso un ottimo esempio di gran lavoratore, stando appostato quasi tutto il giorno sulla torre avvista ufo e nelle ore restanti fare la siesta sotto un albero, affermando di lavorare moltissimo e senza l’aiuto di nessuno.
    Dopo qualche giorno aveva perso decisamente la pazienza e riunito tutto il gruppo, aveva comandato loro urlando a voce spiegata:
    “Oggi porterete tutti i cavalli a fare una lunghissima galoppata, chiaro??? Poi arrivati al ruscello li laverete a dovere, ecco sapone e spazzola, fate un buon lavoro, razza di sfaticati!
    Al ritorno dovete fare la spesa, sistemare le provviste, preparare la cena e rigovernare.
    Possibile che in questi giorni non vi riesca fare niente? Forza, badate che vi controllo, correte, svelti, e non dimenticate niente, mi raccomando!”
    Appena arrivati dopo la corsa a cavallo, avevano sì immerso gli animali nell’acqua, ma quanto a loro si erano persi a raccogliere fiori, suonare la chitarra, immergersi a loro volta nel ruscello divertendosi un mondo a spruzzarsi con l’acqua: l’unico lavoro svolto fatto da Mizar, era stato pescare qualcosa senza troppo entusiasmo.
    Banta si era unito al gruppo ben volentieri e senza essere invitato.
    Alcor nel frattempo era stato contattato da Boss, il quale gli chiedeva se poteva venire a fargli visita, avendo in mano dei progetti nuovi di zecca per la costruzione di un nuovo robot e qualche aggeggio annesso.
    Il ragazzo aveva accettato subito, pregandolo di portare con sé i suoi aiutanti, Nuke e Mucha per un picnic in prossimità del torrente: avevano preparato da mangiare per un esercito, visto che quando erano presenti Banta e Boss non ce ne era mai abbastanza. I due avevano mostrato di gradire molto della presenza di Venusia, quindi avevano raccolto dei fiori per lei, cantato, ballato, inventato sciocche storielle, fatto di tutti per di catturare l’attenzione della ragazza, la quale aveva gentilmente accettato, ma era oltremodo palese che tutta la sua attenzione e i suoi sguardi erano rivolti a un altro genere di presenza maschile, la quale presenza, in quel momento stava intonando un ritmo piacevole e armonioso con la sua inseparabile chitarra.
    Era pomeriggio inoltrato, quando Venusia si alzò in fretta, comunicando a tutti i presenti:
    “Si è fatto tardi, quasi me ne dimenticavo, ma tra poco passa l’autobus e io devo andare in palestra; tra una decina di giorni abbiamo la gara e non posso mancare agli allenamenti. Arrivederci a tutti!”
    Si allontanò quindi con passo svelto, mentre il resto del gruppo, senza troppo entusiasmo sistemava tutte le cose per fare ritorno a casa.
    Tornarono quindi alla fattoria con i cavalli tutti inzaccherati, stanchi e affamati.
    Intanto Rigel armeggiava in cucina, cercando di mettere insieme qualcosa di commestibile per la cena. Tutto il giorno era stato a mungere le capre, visto che in quel periodo producevano una quantità di latte da far paura, poi aveva caricato i recipienti sul carro per portali alla Centrale, ma aveva avuto un piccolo intoppo, dato che la ruota si era fermata dentro una buca, quindi metà del carico si era rovesciato a terra Era decisamente di cattivo umore, che andò peggiorando quando vide il gruppo tornare a casa in quello stato.
    Quella notte rimuginò a lungo tra sé sul come tornare a far funzionare le cose al ranch nel giusto ordine e, sul far dell’alba, venne folgorato da un’idea, secondo lui infallibile.

    Da diverse settimane le condizioni pietose della stalla gridavano vendetta: da tempo ormai immemorabile non veniva sistemato il fieno, le pareti avevano urgente bisogno di riparazioni, gli animali avevano poco spazio perché tutta la paglia veniva addossata dove capitava, attrezzi sparsi e fuori posto, un disordine da paura. No, così non poteva continuare.
    Terminata la prima colazione, alla quale aveva presieduto anche Alcor e dopo aver spedito Mizar a scuola di corsa, Rigel li aveva così apostrofati: “Voi tre, tutta la mattinata la finirete dentro le scuderie a fare il lavoro che avete trascurato da settimane, verrò a chiamarvi io quando potrete uscire, chiaro? Vietato assentarsi anche solo un minuto, dico sul serio, razza di fannulloni e se avete finito di mangiare, uscite di corsa e cominciate, svelti !!!”
    Uscì prima di loro sfregandosi le mani con fare nervoso e soddisfatto, dicendo tra sé: “Deve ancora nascere quello che può farmi fesso.”
    Era oltremodo di malumore anche perché la sera prima, quando i ragazzi erano rincasati, invece di portare le provviste del supermercato come aveva raccomandato loro di fare, avevano buttato sul tavolo alcune schifezze fritte con dell’olio rancido comprate in un chiosco in cui si erano imbattuti sulla via del ritorno.
    Rigel aveva sistemato sopra la stalla, tra la porta e il tetto, un secchio vernice verde, dimodochè, se uno di loro fosse uscito prima di finire il lavoro senza il suo permesso, avrebbe avuto il recipiente rovesciato addosso, col marchio inconfondibile della sua diserzione.
    Actarus Alcor e Venusia si erano messi alacremente al lavoro già da un paio d’ore, mentre Rigel dalla sua torre aveva deciso che quel giorno stesso un ufo doveva per forza arrivare, sì, atterrare lì alla fattoria.
    “Voglio parlare con voi… mi sentite? Qui il vostro amico Rigel, venite presto!”
    Buttò per caso lo sguardo in basso e vide qualcosa che secondo lui non poteva essere terrestre: due enormi sagome verdi vicino alla stalla che si muovevano. Corse giù dalla torre con la velocità del fulmine, andò incontro loro a braccia spalancate e un sorriso a trentadue carati.
    “Lo sapevo! Lo sapevo, che oggi avreste colto il mio invito, finalmente! Avete ricevuto i miei messaggi, era ora! Dite qualcosa, sono anni che vi aspetto!”
    Le due figure verde smeraldo erano alquanto arrabbiate e gli risposero in malo modo.
    “Che storia è questa di collocare la vernice sopra il tetto, non hai l’apposito ripostiglio? E il coperchio? Da quando in qua, si lascia il barattolo di vernice aperta?”
    Davvero desolato, Rigel cercò di sillabare qualche scusa decente, ma presto realizzò che quei due erano Hara e Banta, i quali si erano intrufolati abusivamente nel suo ranch, quindi dalle scuse, passò rapido agli insulti.
    “Chi vi ha dato il permesso di entrare? Cosa ci stavate facendo dentro la mia stalla? Banta, ti ho detto mille volte che se ti pesco nel mio ranch ti scotenno e ti scortico vivo, capito???”
    “Lascia stare il mio bambino, guai a te se ti azzardi a toccarlo, ladro infame, sono mesi che ti ho prestato la cassetta degli attrezzi e il forcone, ancora non me li hai restituiti! Eravamo lì dentro a cercarli e non li abbiamo trovati, tirali fuori subito!” Hara gridava con quanto fiato aveva in corpo e minacciava Rigel col pugno chiuso.
    “Come ti permetti dare a me del ladro? Se è per quello, voi due, quante volte avete mangiato qui da me gratis senza mai ricambiare? Quante volte vi ho regalato chili di riso e prestato altre cose mai restituite? Ladri sarete voi! Vi ho permesso di usare un cavallo e me lo avete riportato mezzo azzoppato! Per forza, ci siete saliti tutti e due insieme facendolo per giunta correre, miracolo che non sia morto!”
    Intanto Hara aveva addocchiato un bottiglione di acquaragia e con uno strofinaccio aveva preso a sfregarsi nel tentativo di eliminare la vernice e con lo stesso strofinava anche Banta, col risultato che, alla fine, sembravano entrambi due enormi ramarri a pois.
    Scoppiò una lite furibonda, facevano gara a insultarsi nel peggiore dei modi.
    I tre ragazzi intanto, avevano terminato tutto il lavoro e quindi deciso di recarsi da Procton per sapere se c’erano delle novità.

    Il Centro di Ricerche Spaziali, all’origine, era stato ideato dal Dott. Procton per soddisfare la sua passione per l’astronomia; scoprire i misteri dell’Universo era il suo più grande desiderio, quindi aveva studiato e investito moltissimo, costruendo appunto il laboratorio.
    Quando la Terra era stata minacciata da Vega, si era dovuto arrendere al fatto del grave pericolo che incombeva, e il suo Centro si era trasformato poco a poco in una fortezza per respingere gli attacchi bellici che venivano dallo spazio e tutto il suo tempo era impegnato a stare sempre in guardia col suo gruppo di fidati collaboratori per prevenire in tempo qualsiasi minaccia.
    Appena i tre giovani ebbero varcato la porta dello studio, videro uno spettacolo insolito, ma subito credettero di aver capito male.
    In uno stato di estasi totale, il dottore ammirava dal monitor tutto il firmamento, le costellazioni, i pianeti, le stelle; non si accorse del loro arrivo e, come ipnotizzato, osservava sempre più estasiato l’intero Universo.
    I suoi collaboratori non erano da meno in quanto a distrazioni: Hayashi era in contatto con Stella e programmavano di incontrarsi presto, gli altri leggevano il giornale, si divertivano col computer, uscivano a fare un giro. Se in quel momento fosse piombato su di loro uno stormo di minidischi, nessuno se ne sarebbe accorto.
    C’era da chiedersi il motivo di tanto cambiamento: perchè nessuno aveva più voglia di fare le solite cose, quasi avessero una sorta di amnesia, addirittura parevano indifferenti ai propri doveri e al prossimo.

    Questo strano “virus”, sembrava non essere solo terrestre, dato che gli ospiti della base lunare Skarmoon parevano aver dimenticato il loro principale scopo: occupare la Terra e costruire nuovi mostri adeguati.
    L’inappuntabile Ministro delle Scienze, Zuril, aveva scoperto le arti marziali e ogni giorno si esercitava in qualcosa di nuovo. Gandal e consorte giocavano a carte e canasta, mentre Hydargos aveva scoperto l’arte dei liquori “fai da te”.
    Re Vega era in contatto radio con la figlia Rubina per avere notizie su Rubi e le possibili insurrezioni dei suoi abitanti: la ragazza si era fatta sentire e vedere dal monitor, quasi irriconoscibile.
    Occhi gonfi con tanto di borse e spettinata. Indossava un pigiamone di pile almeno due taglie più grandi e ai piedi delle enormi ciabatte: la destra aveva sopra un cane di peluche, la sinistra un gatto dello stesso materiale.
    Dopo un gigantesco e infinito sbadiglio, si decise a notiziare il padre:
    “Sono giorni che non esco, qui sembra procedere tutto regolare. Anche oggi non mi va di andare da nessuna parte, anzi, mi dici che ore sono? Quasi mezzogiorno? Beh, allora torno a letto, ciao, a risentirci.”
    “Fai pure come ti senti e riguardati, nemmeno io sto tanto bene, una debolezza che non mi abbandona; ho lasciato qualche giorno di ferie a tutti i miei soldati e comandanti.”

    Cosa poteva essere questo fatto stranissimo e universale? Alla radio e alla televisione davano qualche vaga e incerta notizia: sembrava che alcuni strani batteri circolassero nell’aria provocando stanchezza, insonnia, apatia e/o aggressività, astenia o iperattività, vuoti di memoria, cambiamento dell’umore e della personalità. Erano però anche certi che, al primo abbondante acquazzone, tutto si sarebbe risolto, come infatti avvenne.
    Dopo circa un mese in cui il cielo era sempre limpido e senza l’ombra di una nuvola, su tutta la Terra scoppiarono violenti temporali e così anche in Giappone, ripulendo completamente l’aria da quei batteri insidiosi, e gli effetti furono immediatamente visibili su tutti, paragonabili se vogliamo, al risveglio dei personaggi della “Bella Addormentata”: quindi, i nostri eroi, ripresero le loro attività e il loro modo di essere esattamente da dove si erano interrotti.

    Il primo evento più vistoso ed eclatante, fu infatti un gigantesco mostro da combattimento inviato dalle truppe di Vega sulla Terra e subito intercettato da Procton e collaboratori. Combattuto e vinto dal Team di Goldrake.
    L’attività alla fattoria Betulla Bianca tornò come ai tempi soliti e ognuno di loro riprese a fare le stesse cose di sempre, con una totale e completa amnesia di quanto era avvenuto durante le ultime settimane.
     
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    NATALE IN COMPAGNIA

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    Da questa bellissima immagine di Handesigner, io metto la storia

    Tetsuya riflette, pensa, e decide di abbandonare per sempre l’atteggiamento a tratti da duro con Jun, e le promette un futuro tutto rosa, complicità, collaborazione, comprensione e compagnia.
    Lei, dopo qualche titubanza dimostra di credergli, almeno vuole, visto che nel passato si era illusa così tante volte: bè ora che la tiene tra le braccia in quel modo e con quello sguardo, può anche crederci. “Ad ogni modo, per sicurezza, eviterò di fare allenamenti in palestra insieme a lui, non si sa mai, le recidive sono sempre dietro l’angolo, ma ora voglio godermi questi istanti a tutto tondo”.
    La ragazza pensa a questo, ma non può fare a meno di commuoversi ammirando il dono che lui le fa fatto: una scatola rossa a forma di cuore, con dentro un bellissimo ciondolo in oro.

    Maria è tornata con la memoria a tutti quegli anni in cui passava le feste col suo nonno adottivo, quello che l’aveva salvata e portata via da Fleed in fiamme: i suoi gesti, l’innocenza, la vivacità, i nastri di seta coi quali legava le trecce, sono di quei tempi ancora spensierati in cui non ricordava niente del suo pianeta, dei genitori periti tragicamente durante l’attacco di Vega. Lei così piccola, sola e sperduta in quella sua patria ormai divenuta incandescente.
    “Questo è il più bel regalo della mia vita, anche se non so ancora il contenuto, sento che si tratta di una sorpresa esplosiva!”
    Così pensa la giovane, mentre sente dentro il cuore una grande voglia di ricominciare e godere ogni istante della vita.

    Venusia sta assaporando lentamente un piatto tutto nuovo per lei: l’ha preparato Actarus in persona, si tratta di una ricetta molto, molto speciale, glielo cucinava personalmente sempre sua madre in occasioni particolari. Il sapore buono veniva proprio dalla cura, dall’amore, dalla disposizione d’animo che metteva e lui ha voluto ripetere il gesto per Venusia e solo per lei, si è alzato di notte in segreto per cucinarlo.
    “Vorrei che questo piatto non finisse mai, questi istanti, i piccoli segreti tra noi, sono i momenti più belli della mia vita.”
    Lui la osserva con uno sguardo serio e profondo: i loro occhi si incrociano e senza bisogno di parole, si dicono tutto.

    Miwa ha preparato da sola un cartoccio con qualcosa di veloce da mangiare, anche in questi istanti non dimentica di essere il personal trainer di Hiroshi, anzi, d’ora in poi gli allenamenti saranno ancora più duri, la sua espressione lascia intendere molto bene questi pensieri.
    “Voglio chiedere a Miwa di venire ad abitare con me, ora o mai più! Sicuro, anno nuovo, vita nuova, sarà come sarà, ma ora desidero questo con tutte le mie forze!”.

    Tutti, tranne Maria, devono ancora scartare i pacchetti a loro destinati: sentono che possono ancora aspettare, perché il loro cuore in questi momenti è già colmo di regali, i più belli e magici che possono immaginare. Essere in un periodo di pace e insieme agli amici più cari, condividere ricordi ed emozioni, trovare sempre qualcosa di bello nelle cose più semplici, ma per questo ancora più preziose che la vita regala.


    FINE
     
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    QUALCOSA DI CUI SPARLARE

    1-17033964362322

    “Io voglio sapere perché devo sopportare questo terribile tanfo che tu osi chiamare profumo alla francese e mi propini da settimane!”
    Così parlava il Comandante Gandal alla legittima consorte in un mattino di mezza estate.
    “Sei tu che non capisci niente e sei totalmente privo gusto. Allora, visto che sei entrato sull’argomento delle lamentele, ti dico subito che da anni taccio sulle tue unghie mal tagliate e mal curate. Va bene non mettere lo smalto perché sei un uomo, ma sono brutte, sporche, incolte: è un bel castigo dover condividere lo stesso corpo, accidenti! Per oggi ti risparmio il tema vestiario, perché sono buona e anche perché si è fatta l’ora in cui di solito il nostro sovrano vuole parlarci.”

    Entrati nella sala comando, videro con stupore che la principessa Rubina era arrivata alla base lunare: strano, non ne sapevano niente, credevano fosse ancora in viaggio alla scoperta di pianeti sconosciuti e ricchi di materie prime da sottrarre.
    Sua Altezza stava seduta, no, quasi distesa sulla poltrona di velluto scarlatto, stanca e annoiata a morte di tutto e di tutti. Almeno questa fu la prima impressione che ricevettero.
    “Si può sapere cos’hai di preciso?” le domandò il padre con premura.
    “Cosa devo avere? Niente. Ho viaggiato per settimane senza concludere un accidente! E quando tornerò su Rubi, sentirai che musica! Sommosse, proteste, rivoluzioni… il popolo ha fame, sete e disperazioni varie. Non ne posso veramente più!” disse la ragazza con tono incolore, soffocando uno sbadiglio.

    “E’ un periodo di fermo anche qui: in realtà ci sarebbe molto da fare, ma questi collaboratori mi stanno facendo impazzire, non combinano niente di buono, fanno errori stupidi e sono tanto svogliati. Io dico che sto pensando seriamente di sostituirli tutti e quando dico tutti, non ne escludo nessuno.
    Lo sai che l’altra sera Gandal e consorte si sono divertiti a fare il sacco nel letto a Zuril?
    Sembravano regrediti allo stadio infantile, peggio, ridevano come dei cretini. Credevano io non li vedessi, come no, pensavano di farmi fesso… come quando la settimana scorsa, l’inappuntabile Ministro delle Scienze, alzatosi di buon mattino e in vena di esperimenti, ha messo una dose massiccia di sonnifero nel doppio cognac a Hydargos ingoiato a digiuno, perché voleva vedere se riusciva a procurargli un coma etilico.”
    Rubina non era affatto interessata all’argomento, tratteneva gli sbadigli a fatica, mentre con l’indice arrotolava distrattamente una ciocca di capelli e i suoi occhi senza espressione erano persi in un punto lontano.

    Zuril intanto, per dimostrare al sovrano di essere il più laborioso, serio ed efficiente, si presentò nella sala del trono con un pacco di fogli impilati raffiguranti le bozze di nuovi mostri da combattimento.
    Entrato senza guardare dove metteva i piedi, andò ad inciampare sulle gambe distese per quanto erano lunghe della principessa, cadendo in avanti e nella rovinosa caduta, i fogli si sparsero per tutta la sala.
    Rialzatosi non potè credere ai propri occhi: l’oggetto dei suoi sogni leciti e non era lì, in carne ed ossa, che magnifica sorpresa, come mai non ne sapeva niente?

    “M… ma che novità, non sapevo che ci stavate onorando con la vostra presenza: a cosa debbo questa gradevolissima visita inaspettata? Siete sempre molto bella, sapete? Oggi più di ieri, domani…”
    “Voi invece sembrate un ramarro in corsa, di quelli che sono raffigurati nelle spille decorative: sempre verde, sempre disgustoso, sempre antipatico, sempre...”
    “Abbiamo capito Rubina, pensiamo piuttosto a cosa fare adesso: dato che siamo ancora in estate, vuoi andare in vacanza da qualche parte? In quella rivista che stavi leggendo ci sono dei club con tanti giovani, tanto divertimento…” le disse suo padre.
    “Tanto tornaconto anche, perché è pieno di bellimbusti che ti fanno il filo per portarti subito a letto e prima dell’alba ti hanno già scaricato!” gli rispose gettando lontano il giornale.
    “Non occorre scendere nei dettagli, se questa cosa non va bene si troverà dell’altro”, le rispose il sovrano, alquanto imbarazzato dalla piega che stava prendendo la conversazione.

    “Ma… dove sono finite le caramelle tutti frutti, le mentine, le gomme che fanno i palloni più grossi dell’universo?” chiese la principessa, infilando una mano nel grande barattolo di cristallo che stava sul piccolo tavolo accanto al divano.
    “Non lo so. Devono averle mangiate Gandal e il comandante Zigra durante la riunione di ieri.”
    “Ingordi! Gli si cariassero tutti i denti, almeno”, borbottò lei mentre si alzava dalla poltrona.
    “Dove vai, Rubina?”
    “Nell’altra sala, perché?”
    “Sul tavolo deve esserci l’apparecchio per ascoltare la musica, portamelo. Spero che quella, mi possa distrarre dai pensieri di quei buoni a nulla”, borbottò il sire con malumore.

    La principessa entrò nella stanza adibita a studio, dove sempre si riunivano i Comandanti di Vega.
    Zuril, Gandal e Zigra erano impegnati in una discussione piuttosto accesa: all’apparire della ragazza, tacquero all’istante e fecero un breve e ossequioso inchino.

    “Scusate Altezza, se vi possiamo essere utili in qualche modo…” le chiesero gentilmente e in tono servile.
    Lei li fissò con occhi di brace, poi esordì con queste parole: “Voglio indietro tutte le caramelle che vi siete strafogati, brutti egoisti, ingordi e imbecilli!”
    “N… no… un momento… veramente… non è stata avidità e men che meno indelicatezza nei vostri confronti, principessa… è stato che… Per farla breve, Zigra soffre di diabete e ha avuto un forte calo di insulina: stava per svenire e quei dolci gli sono stati provvidenziali”, le disse Zuril con deferenza e tono stucchevole.
    “Va bene, ho capito. Adesso voglio lo stereo, dov’è? O avete ingoiato anche quello per via dell’insulina?” lo aggredì lei molto scocciata, le mani sui fianchi e tono al limite dell’esasperazione.
    Senza muoversi dal centro della stanza dove si trovava, con lo sguardo fissò ogni particolare e finalmente lo vide.
    “Ah, eccolo lì! E ti pareva! Sta sotto la gigantesca zampaccia verde di Zuril, sfido io che non lo vedevo! Leva quella manaccia, non è mica roba tua, cosa credi?”
    Lui si spostò subito come colpito dalla scossa elettrica. La ragazza prese lo stereo con modi diretti e spicci, poi corse nella Sala del Trono.
    “Eccolo qua. Che canale sintonizzo?”
    “Dentro ci deve essere un disco con musica da camera: accendi, è quel che ci vuole in un momento come questo”, le rispose il padre in tono laconico.
    Rubina premette il tasto e subito una tenue melodia si sparse nella sala. Dopo alcuni minuti di musica soft, si udirono chiare e distinte delle voci. Erano quelle dei tre comandanti!
    “Sono qui da due giorni e già stufo… ma insomma, questo Re Vega, chi si crede mai di essere? Se non gli va bene ciò che facciamo, che si arrangi da solo una dannata volta! Si metta al lavoro di buona lena e fabbrichi mostri con le sue stesse mani: così lo vede quanto è difficile!” diceva Zigra con tono tra l’annoiato e il saccente.
    “A te va alla grande! Come credi ce la passiamo noi, sempre ai suoi ordini, servirlo e riverirlo da anni, rischiare la pelle, essere presi a male parole ogni volta dopo una sconfitta o anche soltanto perché si è svegliato con la luna di traverso?” aggiunse Gandal con tono amaro.
    “E quando elaboro una buona idea, mai che abbia un aumento di grado! Brava, complimenti, come farei senza di voi, siete la più brava… ma alla fine, detto in soldoni, io ne esco sempre male”, dichiarò Lady Gandal con voce e tono molto aspri.

    “Non avete mai pensato ad andarvene? Cercare un’altra galassia come base e mettervi in proprio? Anche perché, scusate, lui è un re, ma appunto solo un re, nel senso che non possiede la tecnologia, la scienza, le armi. Senza voi collaboratori è meno di niente. Rubate di nascosto le formule segrete, il materiale e i mostri… e dopo sarete in grado di attaccare tutti i pianeti che vi pare. Così l’utile rimarrà a voi soli: non che si pappi tutto lui senza muovere un dito e nulla rischiare, e alla fine rimangono a voi solo le briciole come contentino”, ragionò Zigra a braccia conserte.
    “E’ vero!!!” dissero gli altri in coro. “Non ci avevamo mai pensato. Lui è solo un gran pallone gonfiato! Anzi, tra poco scoppia da tanto è gonfio… perché non proviamo a forarlo con un ago? Si sgonfierà di botto come quei palloni colorati che si vedono nelle fiere terrestri.”
    A quella battuta di Zuril, scoppiarono tutti a ridere a crepapelle… e continuarono a sganasciarsi per molti minuti.

    Nella sala del trono, re Vega e Rubina ascoltarono quella lunga conversazione che inavvertitamente era stata registrata: molto probabilmente, qualcuno aveva spinto un tasto senza rendersene conto e adesso, i discorsi volgari di quei miserabili erano arrivati alle orecchie dei sovrani.
    Re Vega era tutto un fremito, si era alzato dal trono e buttava a terra tutto ciò che stava sulla scrivania.
    Non parlava, ma la sua espressione gridava una prossima e feroce vendetta per quei disgraziati infami traditori, ingrati, falsi, ipocriti e bugiardi che a parole lo lisciavano e ossequiavano, mentre dietro lo riducevano in briciole di polvere cosmica.

    Rubina, con un gesto della mano fece segno al padre di buttarsela dietro, poi prese le sue cose e si avviò verso l’uscita.
    Prima di andarsene, si voltò per dire: “Non badarci, non ne vale la pena. Sono sicura che ben presto avrai l’occasione per fargliela pagare. Io vado, ci sentiamo al più tardi domani.”
    “Non la passeranno liscia, te lo dico io! E non ho intenzione di aspettare” disse il re, schiumando rabbia.
    “Va bene, ma tieni d’occhio la pressione, lo sai che è soggetta a sbalzi e questo ti fa male.”

    La principessa uscì, ma dopo alcuni istanti rientrò perché aveva dimenticato qualcosa.
    “Oh, che sbadata! Ho lasciato qui la borsa con tutti i telecomandi: senza questi non vado da nessuna parte.”
    Afferrò la borsa, ma poi si arrestò un attimo per ascoltare la conversazione registrata… c’era qualcosa che aveva catturato la sua attenzione.

    “… da anni il re non ha più uno straccio di donna… chi vuoi che se lo pigli! E’ un mostro, sta finendo in miseria, ed è sempre stato pieno di corna. Mica è sua figlia quella, lo sanno anche i muri!”, diceva in tono sguaiato Lady Gandal. Il consorte fu svelto ad afferrare la palla al balzo e continuò: “la principessa è bella, ma giusto quello, per il resto non ha niente.”
    “Lei vorrebbe fare un buon matrimonio, ma poverina, è così cheap che nessuno la vuole. Capirai, con quel genitore avido e sanguinario fin nel midollo, i suoi trascorsi sentimentali, la scarsa cultura ed educazione, fanno il resto. Quella lieve e superficiale patina di nobiltà che si porta addosso, non basta certo a renderla chic e raffinata come il suo titolo richiede”, lo interruppe la donna, infierendo con gusto perfido.
    Zuril intervenne tempestivamente. “Un momento, Rubina è davvero strepitosa e scommetto tre formazioni di minidischi che entro l’anno riuscirò a sedurla.”
    Seguì un coro di fischi e parole derisorie: “Ma quando mai? Non ne hai avuto abbastanza dei no che ti ha sempre detto e delle terribili figuracce che ne sono seguite? Lascia perdere, va!”
    “Un momento”, interruppe lo scienziato con tono serio: “Non ho ancora messo in pratica l’ultimo dispositivo di condizionamento mentale da me inventato. E’ un sistema imbattibile! Devo solo perfezionare le ultime cose e ne vedrete delle belle! Mi cadrà ai piedi e mi supplicherà di tenerla sempre con me” disse lui a voce alta scandendo bene le sillabe.
    “Se lo dici tu… può essere…” rispose Zigra poco convinto.

    Nella sala, Rubina ascoltava tutto e manteneva sul viso un’espressione impenetrabile.
    Suo padre la fissava preoccupato, mentre la rabbia saliva a picchi altissimi.
    Con gesti febbrili, la ragazza frugò nella borsetta, estrasse una piccola bottiglia piena di liquido e la porse al padre.
    “Lo sai cos’è questo?” Lui negò col capo.
    “Una piccola dose di vegatron super concentrato; nel lungo viaggio che ho fatto, sono riuscita a recuperarlo e mi sono detta che sarebbe servito per le emergenze. L’emergenza c’è, e si tratta di quei bastardi traditori!” gli disse con sguardo incandescente.
    “Non ho bisogno di spiegarti la modalità. Farai tutto questa notte, quando ognuno sarà nel mondo dei sogni… gli ultimi sogni d’oro per loro…”.

    “Torna pure su Rubi, che qui ci penso io. Fai buon viaggio cara, ci sentiamo domani.”



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    GOLDRAKE VS. MAZINGA

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    Appena arrivata a casa, Jun buttò a terra il borsone che conteneva i suoi abiti: con quel gesto rabbioso, parte del contenuto si sparse sul pavimento, ma a lei parve non importare nulla.
    Era alquanto arrabbiata, per tutto il viaggio in macchina con Testuya non aveva mai parlato, ma aveva tenuto ostinatamente lo sguardo fisso sul panorama che li circondava.
    Dal canto suo, Testuya, dopo averle rivolto un paio di domande senza risposta, aveva gettato la spugna e si era lanciato a grande velocità sulla strada deserta circondata da alte montagne sulla destra, mentre, sul versante opposto, la verde pianura era qua e là bagnata da rare pozzanghere d’acqua.
    Aveva una gran voglia di tornare a casa, il malumore silenzioso e ostinato di Jun gli aveva fatto venire una gran nostalgia del suo luogo abituale, del dottor Kabuto e anche… incredibile a dirsi, anche di Shiro, Boss e compagnia.
    Erano stati via solo un paio di giorni a causa di un’emergenza: alla Fortezza della Scienza era arrivata una telefonata inaspettata.
    «Siamo d’accordo, vi aspettiamo al più tardi domani nel primo pomeriggio, la saluto dottore.»
    Il dottor Procton chiuse la comunicazione in presenza di tutti i suoi collaboratori del Centro, compresi Actarus, Alcor e Venusia.
    «Come già sapete, gli attacchi dei veghiani si fanno di giorno in giorno più aspri e pericolosi, quindi il dottor Kabuto, col quale ho appena parlato, manderà qui il pilota del Grande Mazinga e la ragazza che lo aiuta nelle battaglie, Jun.»
    Tacque alcuni istanti per poi aggiungere: «A quanto pare, il malvagio re Vega ha chiamato alla base lunare il comandante Barendos, affidandogli la missione di distruggere Goldrake e dopo conquistare finalmente la Terra: da soli non possiamo farcela, il TFO di Alcor non ha armi abbastanza potenti e non può intervenire nel caso tu, Actarus, fossi in grave difficoltà.»

    Nel frattempo, alla base lunare il nuovo comandante già cantava vittoria davanti agli sguardi increduli e attoniti di Gandal e Hydargos.
    «Riuscirò sicuramente nell’impresa che mi è stata affidata dal sovrano, quindi sarò promosso Comandante di Primo Grado Assoluto e voi due dovrete sloggiare! Ah, ah, ah!»
    «Questo lo vedremo… ride bene chi ride ultimo…» risposero tra i denti e masticando rabbia repressa i due collaboratori di Vega.
    La jeep con a bordo Jun e Tetsuya, si fermò davanti alla grande porta a vetri del Centro di Ricerche Spaziali. Alcor, che li aveva visti per primo, corse loro incontro.
    «Ciao, ben arrivati, avete fatto presto!»
    «Eh sì, la strada era deserta!» gli rispose Tetsuya tendendogli la mano.
    «Per forza era deserta, hai scelto quella piena di buche e avvallamenti, chi vuoi che sia tanto idiota da prendere quella, invece della superstrada!» borbottò Jun, mentre dal portabagagli estraeva la sua roba.
    Alcor li accompagnò subito nelle loro stanze, lui, intanto, li precedette nello studio di Procton.
    Dopo un breve scambio di vedute con tutti i componenti del Centro Ricerche, i quattro piloti decisero di effettuare un ampio giro di ricognizione per escludere qualsiasi pericolo nascosto dei veghiani.
    Tornarono poco dopo il tramonto: sapevano bene che la mancanza di segnalazione di presenze sospette non significava certo che il nemico avesse alzato bandiera bianca.
    Il giorno dopo, infatti…
    «Appena finita la colazione, vi porterò a fare un giro per tutta la fattoria, poi una bella galoppata tra i boschi, poi…» diceva Rigel nella cucina del ranch.
    Aveva riempito la tavola di tutto e di più, intanto continuava a versare caffè nelle tazze dei suoi ospiti non appena vedeva che si svuotavano.
    Jun e Tetsuya erano quasi imbarazzati da tutte queste premure, quasi non sapevano cosa rispondere.
    Non erano abituati a tutto questo… entrambi orfani, la prima infanzia segnata dalla mancanza di una famiglia vera e, appena ragazzi, subito in campo a combattere, rischiando la vita ogni volta… Nei momenti di tregua, sempre e solo allenamenti massacranti… mai uno spazio per loro; lamentarsi, soffrire, era assolutamente proibito.
    In questa fattoria, respiravano un’aria diversa e non era solo l’odore dell’erba appena tagliata, dei mille profumi portati dalla brezza, era qualcosa di impalpabile e indefinito… era quel qualcosa che a loro era sempre stato negato, ma ora Jun sentiva di non poterne fare più a meno, anche se non sarebbe riuscita a tradurre in parole e nemmeno in pensieri tutto ciò.
    La radio al polso di Actarus mandò il solito segnale lampeggiante.
    «… va bene padre, veniamo subito.»
    Gli altri capirono al volo, quindi si alzarono svelti da tavola, Alcor prese la jeep, Jun e Tetsuya salirono dietro, mentre Venusia correva al Centro sulla moto guidata da Actarus: lei voleva essere sempre presente quando si svolgeva una battaglia. Coi suoi grandi occhi dilatati per l’angoscia, seguiva dal video dello studio di Procton la battaglia contro un nuovo mostro veghiano. Aveva paura, ma non voleva trasmetterla ad Actarus e Alcor, anzi, faceva sempre il possibile per incoraggiarli, e molte volte i suoi piccoli ma preziosissimi consigli erano stati fondamentali per la vittoria.

    «Dottor Procton, sullo schermo sono comparse tre formazioni di minidischi» lo informò Hayashi, trattenendo a fatica un tremito nella voce.
    «Li ho visti. Tu, Actarus, esci subito con Goldrake, intanto Tetsuya e Jun si terranno pronti per intervenire; Alcor, invece, sarà di aiuto per distrarre il mostro che esce sempre una volta che i minidischi sono stati distrutti.»
    «Va bene» risposero in coro tutti e quattro i piloti.
    Nel cielo turchino pennellato da qualche rara nuvoletta rosa, un gigantesco storno di minidischi avanzò minaccioso, coprendo di scuro l’atmosfera.
    Goldrake li distrusse tutti con il maglio perforante, l’alabarda spaziale e i missili: prima che l’ultimo disco esplodesse, ecco materializzarsi il grande mostro di Vega, tutto verde e coperto di punte aguzze.
    In quel mentre, arrivarono il Grande Mazinga, pilotato da Tetsuya, e Venus Alfa, guidata da Jun.
    Il mostro fu subito circondato, ma non pensò certo a ritirarsi: dai suoi occhi uscirono raggi multicolori che aggredirono subito i tre robot, i quali, per alcuni secondi, furono incapaci di reagire.
    Da dietro, il TFO di Alcor sparò alcuni missili sulla testa del robot e, quando questi si distrasse per vedere chi lo aveva colpito, il Grande Mazinga gli piombò addosso con un rabbioso attacco kamikaze.

    «Non così, dobbiamo colpirlo tutti insieme» gli gridò Actarus, ma Tetsuya, in risposta, si accanì ancora di più col mostro.
    «Io posso farcela benissimo da solo, ho fatto a pezzi robot ben più terribili di questo!» gli gridò con tutto il fiato e l’arroganza che aveva.
    «Questo significa solo rischiare la vita inutilmente, se non siamo uniti, è impossibile vincerlo.»
    Approfittando di un attimo di difficoltà di Mazinga, Goldrake e Venus Alfa aggredirono il mostro con lame affilate e raggi demolitori; dopo minuti di lotta incessante che a loro parvero interminabili, il tuono spaziale lo ridusse definitivamente in briciole.
    Dall’alto del suo TFO, Alcor gridava vittoria, sparando, per sicurezza, qualche altro missile.
    Tornarono alla base e, una volta atterrati, Tetsuya apostrofò Jun, guardandola dall’alto al basso, con: «Guarda come sei ridotta, il tuo robot è quasi a pezzi e tutto sporco di fango.»
    «Forse non ti sei reso conto di quello che ho passato. Potresti anche ringraziarmi, invece di criticare!»
    Lui non raccolse, si sistemò meglio la tuta spaziale, gli occhiali e salì sull’auto.
    «Non restate ancora con noi? Procton vuole salutarvi e sarà lieto di avervi ospiti a cena» disse Alcor.
    «Salutalo tu per me, a casa ci aspettano, ciao!» disse mentre l’auto era già partita, sollevando nella corsa nuvole nere di gas e polvere.

    Tetsuya corse subito alla Fortezza della Scienza per incontrarsi col dottor Kabuto, mentre Jun, nella sua camera, si accinse a scrivere in un quaderno tutto quello che le premeva dentro.


    Caro diario,
    in questi giorni, tutta la mia vita è cambiata. Non su fatti
    esteriori, la rivoluzione è solo dentro di me.
    Mi sono resa conto che, fin dalla nascita, ho vissuto ai margini della mia esistenza, sono stata spettatrice e, quelle rare volte che i miei problemi interiori sono venuti fuori, sono stata accusata di stupidità ed egoismo.
    La mia razza, il fatto di essere orfana, il colore della mia pelle, mi facevano soffrire, ed era inutile parlarne con le persone più vicine: la loro fredda incomprensione non ha fatto altro che aggravare la mia confusione, stimolare il senso di colpa, perché tardavo a scendere in campo col mio robot ad affrontare il nemico. Non ero una persona, ma una minuscola tessera di un grande mosaico, insignificante, ma necessaria.


    Jun posò un attimo la penna e guardò fuori: il prato, gli alberi e il frinire di insetti la riportarono con la mente al ranch Makiba. Le sue labbra si stirarono in un sorriso che veniva dal cuore, perché ora si sentiva una persona, una che vale, che può e deve essere fiera di sé stessa, avere, dare e pretendere rispetto e considerazione da tutti.

    Ora sono e mi sento bella… bella dentro e fuori: il colore ambrato della mia pelle mi dona moltissimo, come ho fatto a non accorgermene prima?
    Quel ruscello, la cascata, i fiori e gli insetti… eravamo andati a fare un lungo giro insieme agli altri… ho visto riflettersi negli occhi di Venusia lo sguardo di Actarus: ho toccato quasi con mano l’accettazione del proprio essere, il loro modo di guardarsi e guardare tutti, non lasciava adito a dubbi.
    Avrebbe guardato anche me allo stesso modo se fossi stata al suo posto e poi… quella premura, il timore che qualcuno di loro potesse correre qualche pericolo… il venirsi incontro, l’aiutarsi in ogni cosa… quel mazzolino di fiori di campo in mano e una primula dietro l’orecchio.
    Anche se non l’ho visto, sono certa che nessuno di loro si snerva in allenamenti massacranti al di sopra delle proprie forze, nessuno opprime o svilisce l’altro…


    La ragazza smise di scrivere, mentre lo sguardo appannato da un velo liquido andava oltre l’orizzonte.
    Si alzò, aprì l’armadio decisa a fare ordine: buttò a terra vecchi abiti che le ricordavano tristi episodi, quelli troppo scuri e senza forma e li mise tutti dentro un sacco.
    «Più tardi andrò a buttarli e comprare cose diverse. Da oggi inizia una vita nuova: la vecchia Jun è morta, ora quella che è sembra rimasta in ombra e dietro il sipario è sulla scena. È pronta a riscrivere tutta la sua vita… se ne accorgeranno tutti… e dovranno accettarmi e rispettarmi come sono» disse a voce alta, con un gran sorriso che le veniva dal fondo del cuore; sul davanzale, l’allegro cinguettio di un pettirosso diede approvazione alle sue parole.


    FINE
     
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    SINGLE E’ BELLO

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    Di solito si pensa che Duke Fleed sia fuggito dal suo pianeta a bordo del suo disco, perché tanto non c’era più niente da fare e restare lì non aveva senso, visto che Vega aveva pensato bene di raderlo al suolo con una mega bomba al vegatron. Anche per questo, certamente, ma non solo.

    Il principe di Fleed non ne poteva più di avere delle donne adoranti ai suoi piedi, ecco il motivo principale!
    Quando aveva visto quel macello che il suo nemico aveva combinato, si era detto che non tutti i mali venivano per nuocere. In mezzo a quella carneficina, per forza di cose, c’era anche una nutrita schiera di fanciulle adoranti e appiccicose molto più dell’attaccatutto, che smaniavano attorno a lui dalla mattina alla sera… e anche di notte, perché ad ogni alba, qualcuna sbucava da sotto il letto, un’altra dall’armadio, una stava nel guardaroba quale sarta improvvisata… terribile! Peggio dell’invasione delle cavallette!
    Ne trovava sempre una o due nascoste dentro la sua navetta quando decideva di andarsene tutto solo a trovare il suo amico Marcus per distrarsi. Appena toccava il suolo, eccole sbucare dal nulla. Moine, baci, frasi zuccherose: “veniamo con te, da solo ti annoi, che bel posto, andiamo a divertirci…”
    Uno stillicidio. La cosa era anche piuttosto imbarazzante: che la gente non si mettesse in testa che lui facesse così per mettersi in mostra! Nooo! Erano loro! Ma non poteva dirlo per almeno due motivi: non gli avrebbero creduto, oppure avrebbe fatto la figura del pavone. Meglio evitare altre figuracce.

    Intendiamoci: gli andava benissimo stare con la sua storica fidanzata Naida, nonché amica d’infanzia, questo senza dubbio. Erano molto affiatati, c’era intesa fisica, trasporto… e il bello era anche quando per qualche giorno decidevano di comune accordo di non vedersi e andarsene ciascuno per i fatti propri.
    Quello che non gli andava bene era l’assillo, il corteggiamento continuo e disperato di troppe femmine adoranti che sempre gli stavano tra i piedi, in casa, in giardino, a passeggio… ovunque, insomma!

    “Ad ogni modo, adesso è acqua passata!” si era detto il principe senza corona quanto era atterrato sul pianeta blu e un certo dottor Procton si era preso cura di lui, spacciandolo per suo figlio.
    “Qui non c’è nessun sentore di incastratrici! Sono in Paradiso!” disse un mattino appena sveglio, stirandosi con gusto.
    L’overdose di ragazze adoranti era stata così eccessiva, che la solitudine era solo una benedizione.
    Sarebbe stato meglio che avesse atteso qualche tempo, prima di cantare vittoria.
    Il padre adottivo, infatti, pensò bene di inserirlo come stalliere dal suo vecchio e caro amico Rigel, il quale aveva due figli: Venusia e Mizar.
    La ragazza, oltre al fatto che aveva sempre vissuto ai margini della città, quindi con rare occasioni di fare amicizie soprattutto maschili, aveva dei pretendenti che non erano affatto di suo gusto.
    Vedere un bel giovane aitante, dallo sguardo azzurro, dal fascino misterioso e innamorarsene in meno di un battito di cigli, fu una cosa sola.
    Si incollò al suo braccio e nemmeno i duri lavori che con lui condivideva (che bello!) riuscirono a staccarlo. Mai!
    “Ecco che ci risiamo!” si disse il giovane, appena capì di essere ancora sotto le grinfie femminili.
    Il suo animo oppresso si aprì alla speranza, quando Alcor, pilota e ideatore del TFO, arrivato da poco al ranch Makiba, palesò il suo interesse per la bella Venusia.
    Dato che i corteggiatori non vengono mai soli, anche il suo vicino di casa, Banta, un messicano dai modi spicci e diretti, si dimostrò molto attratto da lei e glielo fece capire senza mezzi termini.
    Purtroppo, oltre all’indifferenza della ragazza per i due giovani, ci si mise anche il padre di lei, allontanandoli a colpi di fucile se solo intravedeva che le stavano ronzando attorno dalla sua altissima torre di controllo (faceva solo finta di contattare gli alieni, in realtà difendeva l’onore della figlia).

    Duke Fleed, ora divenuto Actarus per motivi logistici, stava perdendo le speranze e la depressione avanzava. La “singletudine” tanto agognata non era che un lontano miraggio, sempre più vago.
    Il dottor Procton non aveva nessuna spasimante, beato lui! Che segreto aveva? Mah!
    Stava il più possibile lontano dal ranch, gli attacchi veghiani erano attesi come una liberazione, perché in quei frangenti, lui cambiava aspetto, saliva sul suo disco e si lanciava nello scontro finalmente solo.

    Un bel giorno, finalmente, sembrò che la tanto attesa libertà si fosse profilata all’orizzonte.
    Venusia correva come una matta a cavallo per cercare un puledro disperso: era arrabbiata anche con lui perché non c’era mai.
    “La seguo, me l’ha detto Rigel, poi… ah, bè, se corre così in questa montagna stretta e pericolosa, non avrà scampo.”
    Infatti, il cavallo di Venusia la disarcionò, e lei prese il volo.
    “La seguo, così non posso avere rimorsi, se poi non faccio in tempo, pazienza!
    E così, Actarus prese le sembianze di Duke Fleed e riuscì appena in tempo a salvarla dalla rovinosa caduta sulle rocce. Gli aveva fatto pena il pensiero di suo padre… e anche Mizar, era solo un bambino, in fondo. Lui dopotutto era un nobile e non solo nel titolo, anche nell’animo.
    “Adesso che mi vedrà così e le dirò chi sono, non mi vorrà mai più! La partita è chiusa per sempre.”
    Infatti, lei rimase alquanto scossa a sentire quella rivelazione e scappò via.
    “E’ fatta, non mi vuole più vedere e se in aggiunta le mollo un ceffone con tutti i crismi (la sicurezza non è mai troppa), non vorrà mai più vedermi nemmeno in fotografia!”
    Non aveva assolutamente tenuto conto dell’ostinazione di Venusia, una peculiare caratteristica della sua personalità che lei ebbe poi occasione di dimostrare in diverse situazioni.

    Alla fine di quella massacrante giornata, dove perfino Hydargos l’aveva presa in ostaggio e minacciata di farla precipitare nel burrone, verso il tramonto e dopo un duello terribile col solito mostro veghiano e il puledro ritrovato in mezzo a loro due, sapete cosa aveva avuto il coraggio di dirgli?
    “Adesso capisco perché ogni tanto scomparivi dalla fattoria… Actarus, tu sei il difensore della Terra contro gli spaziali!”
    “Cosa le dico? Aiuto! Vediamo… allora… sono felice che tu mi comprenda Venusia, ma io sono Duke Fleed in realtà… non so se… ti vado ancora bene… l’hai capito che non sono terrestre?”
    “A me piaci come prima, più di prima, sei sempre lo stesso di quando ci siamo conosciuti.”
    Occhi a cuore, sorriso estasiato, panorama romantico ad alta tossicità diabetica… e l’approvazione del puledro… sì, aveva leccato le mani ad entrambi. Ma si poteva essere più sfortunati?

    Non era affatto finita, i veri guai dovevano ancora cominciare.
    Re Vega, aveva tenuto in ostaggio la sua ex fidanzata, Naida, aveva pensato che era arrivato il momento di buttarla sulla Terra, perché potesse ammazzare con le sue mani Duke Fleed.
    “Mi raccomando, quando lo incontri, uccidilo. D’accordo?” le aveva detto e ripetuto il sire, torturandola a piacere per essere certo che lei gli obbedisse.

    Il disco di Naida atterrò in mezzo alla neve e… i due giovani si corsero incontro felici (?)
    Diciamo che lui si mostrò contento, mica poteva arrabbiarsi perché quella piaga appiccicosa, lamentosa e petulante non era perita su Fleed come gli altri, no? A proposito: come aveva fatto a salvarsi?
    “Sono felice di vederti Naida… ma, scusa la domanda: perché non sei morta anche tu insieme agli altri?”
    “Non lo so. Sono scappata e non mi hanno più trovata.”
    “Ah…. Capisco… andiamo a casa mia, vuoi?”
    “Come no! C’è da chiederlo?”
    “Ma… in questi sei anni, ti sei mica fidanzata con qualcuno? Un veghiano magari? No?”
    “No, io amo e amerò sempre solo te.” Mano nella mano ad effetto colla presa rapida.

    Nello studio di Procton, Naida iniziò a raccontare con dovizia di particolari le sue drammatiche vicissitudini e dentro di sé, Actarus pensava: “Come avrà fatto a sopravvivere… mi sembra impossibile… se ciò che mi racconta è vero…. che abbia sette vite come i gatti?”
    Di fatto, in quelle poche settimane che Naida rimase sulla Terra, successero questi fatti in ordine cronologico:
    Duke Fleed la portò a cavallo facendola cadere di proposito e rotolare per un fosso, ma lei non si fece nemmeno un graffio. Lui le diede un piccolo e breve bacio, per darle ad intendere che era stato solo un incidente. Con premura, le chiese anche se per caso si fosse fatta male.
    Arrivati in prossimità di un lago, la ragazza pensò che era arrivato il momento per pugnalare il suo ex, dato che lui si era distratto a fissare la suggestiva bellezza del luogo e giocare con l’eco. Purtroppo, dato che lei prima di uscire si era cosparsa le mani con della crema molto unta, l’arma scivolò in acqua.

    Naida tentò di far esplodere Goldrake con una bomba, ma la cosa finì in uno scoppio di petardi stile ultimo dell’anno.
    Sempre Naida, aizzata dalla voce di re Vega impiantata con un apposito strumento dentro la testa, colpì con una sbarra di ferro il suo ex senza ammazzarlo (e lui ci rimase molto male al risveglio dal coma, perché così, l’incubo femmine appiccicose, sarebbe continuato).
    Un bel giorno, la ragazza, sentendosi di troppo, dato che Venusia le aveva fatto ben capire di farsi in là, si lanciò da sola in mezzo al cielo a combattere coi veghiani in un folle scontro suicida, e questa volta ci rimise davvero la pelle e per sempre.
    Ogni tanto, almeno una va liscia, no?
    Mica tanto, alla fattoria c’era sempre Venusia bella agguerrita e in forma più che mai!

    E adesso cosa si era messa in testa? Di combattere anche lei! Sì, col fischio!
    Nemmeno un attimo di pace neanche in combattimento, si potrà? I veghiani, saranno anche cattivi, ma almeno non si vogliono fidanzare, desiderano solo farti a fette; e che male c’è? Siamo in guerra, no?
    Alla fine, Venusia, si mise d’accordo con tutti gli abitanti del ranch, ed essendo la maggioranza, votarono per il suo ingresso quale novella pilota.
    Mossa strategica studiata a tavolino! Tutti contro uno, tanto valeva arrendersi e sperare che il suo Delfino Spaziale, un bel giorno, rimanesse incastrato in fondo al mare.
    “Se mai un giorno finirà questa guerra, me ne vado di corsa in un altro pianeta senza lasciare tracce”, si diceva tra sé Duke Fleed nei momenti più neri. Non poteva farlo subito, aveva dato la sua parola che avrebbe difeso la Terra fino alla fine.

    Passarono alcuni mesi e un’altra fleediana arrivò al ranch: stavolta era sua sorella per fortuna!
    “Speriamo diventi buona amica di Venusia, così staranno insieme il più possibile”, pensava il fratello.
    Maria era una brava pilota e guidando la Trivella Spaziale, si unì al gruppo: combinava qualche guaio, ma non erano cose gravi. E poi era così simpatica e divertente! Lei e Alcor erano due vere macchiette! Quando litigavano erano spassosissimi.
    Le cose gravi erano le ragazze che si volevano fidanzare e poi sposare, altrochè!

    Sposare… un momento… Rubina, la figlia di re Vega si voleva sposare con lui. E com’era accanita, non lo mollava un istante… però era il passato, un passato che non sarebbe mai più tornato, per fortuna.
    No, non era così. Un bel giorno di primavera, la dolce Rubina venne a sapere che Duke Fleed era vivo e vegeto, quindi meditò di incontrarlo subito in mezzo al cielo. In volo, lei lo riconobbe subito.
    “Non uccidermi, sono la principessa Rubina, non mi riconosci?”
    “Come? Rubina? Noooo!!!”
    “Sì, io. Parcheggiamo nel prato, va bene?”
    “E come faccio a dirle di no?”
    “Evviva! Quanto tempo è passato!”
    La principessa gli corse incontro estatica, ma lui, memore che ben due sosia lo avevano quasi ucciso (magari), cioè sua madre e suo padre en travesti, la bloccò subito.
    Siccome non c’è due senza tre, questa bella rossa chi era davvero?
    “Fermati! Dimostrami subito che tu sei realmente Rubina!”
    “Certo! Otto anni fa mi hai detto che sono bella come un fiore e che mi avresti sposata all’istante, anche nella barca su cui viaggiavamo.”
    “Un momento. Sul fiore ci sto, ma di sposarsi l’hai detto tu, cara! Non cambiare le carte in tavola.
    Ad ogni modo, eravamo solo noi due, quindi ti credo, sei davvero tu. Che vuoi adesso?” le chiese con un sospiro spazientito.
    “Che ci sposiamo subito, no? C’è stato un intoppo, però adesso siamo qui e ci mettiamo al lavoro.”
    “Cooosaaa??? Che lavoro, ma di cosa parli? Sei fuori come un balcone, te lo dico poi io.
    Poi, scusa, ma tu non sei la serva di Zuril?”
    “Io??? Quelle orribili zampacce verdi chissà dove sono ora. Ti sei visto un film, sai?”
    Nel dirlo, lei agitò le mani sulla fronte per fargli segno che stava vaneggiando.
    “Senti, le voci corrono e anche i giornali pettegoli, eccone qui uno, leggi!”
    La principessa diede un’occhiata e sentendosi colta in flagrante, tentò qualche vaga scusa.
    “Ma lo sai che i giornalisti sono dei gran bugiardi… fanno soldi così, inventando bugie sul conto dei nobili, ma non c’è niente di vero, credimi.”
    In quel mentre, la nave del ministro Zuril atterrò sul prato di fiori nanohana.
    “Ah, Rubina sei qui. Si può sapere perché sei partita senza dirmelo? Ti sei dimenticata che tu sei solo mia e non più una principessa? Sali sul mio disco e alla tua pantera tolgo subito il motore, così non la usi più.”
    Lui la prese per il gomito con fare da padrone, e senza tanti complimenti la obbligò a salire.
    Rubina, con la testa volta al suo principe, trascinata con forza da Zuril, in lacrime gli diceva: “Non è vero, è un infame, un porco schifoso, non credergli… si è voluto vendicare perché non l’ho voluto…”
    Poi, verso quel verme: “Smettila di tirarmi in quel modo! Ignorante! Sei sgarbato come l’aceto, mi fai schifo!”
    “Tu fai quel che ti dico io e senza storie, capito?” le gridò lui tenendola per un braccio.
    “Cosa ci facevi qui con lui? Gli hai dato appuntamento per cosa? Te lo dico io per cosa: volevi andarci a letto e subito anche, sì è così! Lo sai cosa sei? sei una… una… te lo dico quando siamo a casa!”
    A Rubina dalla rabbia le si erano gonfiate le venne del collo: tutto il suo livore esplose in un enorme sputo in faccia a Zuril.
    “Questa me la paghi! Fila dentro!” urlò lui puntando il dito verso la nave, mentre con l’altra mano tentava di pulirsi.
    “Ti sta bene! Ma di quale letto parli, sei scemo? Ne vedi qui uno per caso? Idiota!”
    Gridava lei con voce isterica e il viso in fiamme.

    “Ma te guarda! Bugiarda fino alla fine, nega anche l’evidenza! E quella sarebbe una principessa? Ma vedi come si comporta! Vai, vai che è meglio” disse a bassa voce il principe con disgusto.
    “Scampato pericolo, torno alla base.”

    Verso il tramonto, Actarus, Alcor, Venusia e Maria si godevano il panorama dal balcone del centro ricerche.
    Vennero chiamati all’improvviso dal dottor Procton.
    “Actarus, vieni qui, c’è un messaggio per te.”
    “Rubina! Ma… cosa?”
    Sul video, la Quenn Panther della principessa con lei a bordo, brillava nel sole morente.
    “Ho messo del sonnifero nella cena di Zuril, per molte ore non mi cercherà. Duke, se senti questo messaggio vieni da me, io ti aspetterò. Non volevo dirti bugie, ti spiegherò tutto a voce, è molto importante.”

    A notte fonda, nessuno riusciva a dormire, finchè Actarus decise di recarsi all’appuntamento perché voleva vederci chiaro e soprattutto levarsi dai piedi una volta per sempre quella noiosissima ex principessa di Vega. Glielo avrebbe detto chiaro e tondo una volta per sempre.
    Alcor, Venusia e Maria lo seguirono coi loro mezzi perchè non si fidavano.

    E infatti…


    Zuril si svegliò all’improvviso con un gran cerchio alla testa e in un attimo capì tutto.
    Quella sciacquetta l’aveva fregato come un pollo. Adesso l’avrebbe sistemata lui!
    Salì a bordo della nave madre in forte stato di ebbrezza, dato che a cena aveva bevuto molto e l’effetto col potente sonnifero, l’aveva tramortito. Era sostenuto da una rabbia cieca: in un colpo solo, avrebbe ucciso Duke Fleed e Rubina che lo aveva così abbindolato.

    Appena Goldrake raggiunse il prato, la tela di ragno che Zuril aveva messo sotto l’erba, intrappolò il pilota e il suo disco.
    “Rubina, mi hai tradito! Non dovevo fidarmi di te!”
    “No! Non è vero, non lo sapevo, ma adesso ti salverò!”
    Rubina tentò di liberare Goldrake, anche se il grosso del lavoro toccò ad Alcor e Maria.
    Il dito di Zuril premette un tasto a caso: un raggio colpì in pieno la Quenn Panther e anche Rubina.
    Il suo velivolo precipitò al suolo, mentre l’astronave di Zuril era avvolta nelle fiamme.

    Scesero tutti dai rispettivi veicoli. Duke estrasse Rubina, e la portò sul prato fiorito, mentre Alcor Maria e Venusia rimasero discretamente distanti.
    La principessa moribonda aprì gli occhi una volta adagiata sull’erba.
    “Ah, sei ancora viva, molto bene.”
    “Duke… io… non volevo ingannarti…”
    “Lo so cara, tranquilla. Senti, intanto che ci siamo, mi dici dov’è collocata esattamente la base di Vega sulla Luna?”
    “Io… io…”
    “Su, fai un piccolo sforzo.”
    “Te lo dico solo se prima mi prometti una cosa.”
    “Dimmi” disse lui al limite della pazienza. “Però spicciati, vedo non hai una gran bella cera…”
    “Siccome su Fleed il verde sta tornando, ecco qui la foto che lo dimostra, il primo fiore che vedrai sbocciare, lo chiamerai Rubina?”
    “Sicuro, parola d’onore.”
    “Sono felice. Però lo innaffierai, coltiverai, poterai, avrai ogni cura, vero?”
    A quel punto, Venusia, appoggiatasi al suo Delfino Spaziale, non potè trattenere un singhiozzo. Sapeva benissimo che quel lavoro ingrato sarebbe toccato a lei.
    “Grazie. La base si trova al centro dell’altra faccia della luna.”
    “Ottimo. E’ molto grande? Come siete messi a mostri?”
    Ma Rubina esalò l’ultimo respiro e con lei anche Zuril. Quella compressa di sonnifero conteneva anche una dose massiccia di veleno.

    A tutta prima, il principe di Fleed tirò un gran sospirone di sollievo: si era levato di torno l’ennesima incastratrice. Subito dopo però, fu assalito dal panico.
    “Ma… ha detto che diventerà un fiore… quindi sboccerà ogni primavera? No……! Ecco, l’ha trovato il modo per incastrarmi, accidenti a lei! Vivrà in eterno! Ma poi… annaffiare… coltivare… nooo, è un incubo dentro un incubo!”
    E così, Duke Fleed fu in preda ad una disperazione senza precedenti. Corse per il prato correndo e gridando per alcuni minuti. Poi… una volta arrivato sulla cima del monte Yatsugatake e davanti ad un’alba luminosa, fu colto da una folgorante e risolutiva illuminazione. Ma sicuro! Mica sarebbe andato da solo su Fleed, c’era pur sempre Maria, no? E allora? Lei avrebbe curato i fiori Rubina, quello è un lavoro da donne, dopotutto. Ah, che sollievo, tanto rumore per nulla.

    Molti mesi dopo…

    Quando si ebbe la certezza che Fleed era completamente privo di radioattività Duke e Maria partirono.
    Lungo il viaggio, lui pensava: “Mi sono informato, i superstiti fleediani sono tutti accasati, quindi nessuna probabile fidanzata all’orizzonte, adesso sono libero una volta per sempre!”
    Ricordò Venusia al momento degli addii… non era triste, anzi, aveva un sorriso soddisfatto sulle labbra. “Beh, si è rassegnata, in fondo l’ho sempre detto che è una ragazza intelligente.”
    Guardò Maria. Era tranquilla.
    “Sei contenta? Stiamo per arrivare.”
    “Sì, molto.”
    Dopo un istante, la sentì gridare di gioia.
    “Evviva, dopodomani saranno da noi! Mi è arrivato adesso il messaggio!”
    “Chi, Maria?”
    “Come chi? Alcor e Venusia, no? La Cosmo Special è fatta apposta per navigare nello spazio profondo. E poi abbiamo bisogno di aiuto… e il dovere di ripopolare il nostro pianeta.”

    Non era possibile, questo era davvero troppo! Venusia su Fleed? Ripopolare? Quindi… quindi bisognava sposarsi! Nooo!!!
    Ma cos’era, una maledizione?

    Non esattamente. Duke Fleed non sapeva che al momento della nascita, la sua madrina, mentre lo teneva in braccio e lo guardava con affetto infinito, aveva così pronosticato: “Non rimarrai mai solo dalla tua giovinezza in poi, per via del tuo fascino irresistibile.
    Tante donne ti cercheranno, saranno disposte a tutto pur di averti, e sarai per questo invidiato da molti.”
     
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    ANIME E MANGA SPAZIALI

    1-17046190999175

    Appena parcheggiata la navetta, entrò nella base. Lo faceva molto malvolentieri da un tempo indefinito: ormai, si recava lì solo quando non poteva evitarlo e, appena sistemate le cose urgenti, se ne andava via subito.
    Si rallegrò un poco all’idea del nuovo guardaroba che aveva acquistato lungo la galassia: erano capi estivi molto colorati. Si avviò per il lungo corridoio che conduceva alla sua camera, quando da un angolo sbucò Zuril.
    La guardava dall’alto al basso, scrutandola come se la stesse sottoponendo ad un severo esame.
    Non disse niente, lei tirò dritto come nulla fosse e senza un cenno di saluto.
    Con amarezza, si rese conto che stava contando le ore che la separavano dal suo rientro su Rubi.
    Era già stanca di stare lì, ed era appena arrivata!
    Un lieve sorriso le illuminò subito il viso tirato. Aveva fatto degli ottimi acquisti. Indosso portava l’abito provato nella boutique, era di spesso cotone a fiori e righine di vivaci colori, in stile collegiale.
    “Perché ti sei vestita come Candy?” le domandò Zuril, infilando il capo dentro la porta.
    “Ma che vuoi?” gli rispose con un moto di fastidio e scarsa educazione.
    Rubina intanto, aveva tirato fuori dalle borse tutti i nuovi capi acquistati e li stava riponendo nell’armadio. Sul vetro bordeaux della toletta, riponeva trucchi, smalti e rossetti.
    Decise di ignorarlo e continuò il suo lavoro come fosse sola.
    “Ma anche l’abito col nastro legato dietro! Non ci posso credere! Sei Candy in persona e con quei due codini di capelli tutti arricciati, sembri la sua fotocopia! Hai deciso regredire allo stadio infantile, cambiare tutto il tuo look, o sei stata scritturata per una parte?”
    La ragazza non lo degnò di uno sguardo, sedette sullo sgabello e iniziò a cospargersi le guance di fard.
    Zuril a quella vista non si potè trattenere.
    “Ma noo!! Non così! Il rossetto va sfumato, non devi farti i pomelli come Heidi, fai ridere… oppure le caprette ti fanno ciao!”
    Il Ministro era piegato in due dalle risate che non riusciva più a trattenere.
    Rubina si alzò di scatto e gli puntò gli occhi in faccia e il dito sul petto: “Ho capito! Tu guardi i cartoni animati, invece di lavorare! Ti ho scoperto, mangia pane a tradimento!”
    “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere!” le rispose lui con l’indice alzato e ostentando superiorità estrema.

    La principessa lo scansò, corse nel corridoio e filò dritta come un razzo nella stanza di suo padre; voleva dirgli subito cosa aveva scoperto.
    Si arrestò un attimo sulla soglia: perché nella stanza regnava la penombra?
    Perché, per vedere bene le immagini proiettate sullo schermo che occupa l’intera parete, è necessaria.
    Re Vega sul divano e di fronte a lui si vedeva correre una bambina dall’aspetto emaciato e con lunghe trecce rosse.
    Estasiato e con un sorriso che non finiva mai, canterellava la sigla tra sé:

    Anna dai capelli rossi va
    vola e va come una rondine
    però un nido non ce l'ha
    non ha una mamma né un papà…

    Rubina uscì indignata e sconvolta, decise comunque di controllare subito il lavoro dei soldati.
    Entrò nel grande magazzino dove si fabbricavano i minidischi e si bloccò impietrita. Una dozzina di addetti ai lavori, leggevano con avidità dei fumetti: Topolino, Pluto, Nonna Papera, Paperino, Qui Quo Qua, Ezechiele Lupo, Diabolik, Cattivik, Vampirella, Tex.
    In un angolo, almeno dieci manovali erano con gli occhi puntati sullo schermo che riproduceva “La spada nella roccia”. Uno di loro la vide di sfuggita e si scansò lievemente, indicandole che se voleva, c’era posto anche per lei.
    Decise di notiziare Gandal e signora di questo scandaloso assenteismo: senza nemmeno bussare, entrò nella loro stanza… ma indietreggiò di alcuni passi.
    I due coniugi tiravano di scherma: naturalmente con l’anime di Lady Oscar ben piazzato davanti.
    “Cosa fate, si può sapere? Siete scemi?”
    “Che vuoi, piccola strega?” l’insultò la donna con arroganza.
    “Quello che mi pare, Grande Cretina! E non ti azzardare mai più a mancarmi di rispetto, chiaro?”
    Entrambi scoppiarono a ridere fino alle lacrime, poi presero il telefono per comunicare a Hydargos quello spassosissimo episodio.

    La ragazza scappò via come avesse preso una forte scossa, andò correndo nel salotto e una volta buttatasi sul divano, scoppiò in lacrime. Non ci poteva credere, quello era un brutto sogno… che altro poteva essere?
    Singhiozzando senza ritegno, iniziò un monologo atto a dar voce alla sua incredula disperazione:
    “M…ma perché mi hanno fatta venire qui?... perché si comportano tutti in questo modo… io… io, non capisco niente, mi sembra di impazzire… cosa sono venuta a fare… sembrano tutti matti…”
    Entrò Zuril fischiettando e, senza vederla, puntò deciso verso l’armadio aprendolo senza cerimonie.
    “Dove siete dvd? Saltate fuori, avanti… io e Hydargos abbiamo una voglia matta di rivedere “I fantastici quattro!”
    Pochi istanti dopo: “Ah, eccoli qui, benissimo!”
    Durante la sua breve sosta nel soggiorno, Rubina aveva continuato a parlare alzando la voce e sempre singhiozzando, perché sperava che quel verme la degnasse di uno straccio di risposta.
    Lui non la sfiorò nemmeno una volta con lo sguardo, ma prima di uscire a grandi falcate, accennò un’aria che si adattava alla situazione: “… non piangere Liù…”

    Rubina fu nuovamente sopraffatta da una disperazione senza precedenti: dolore, rabbia e incredulità l’avevano sconvolta. Iniziò a tempestare il divano coi pugni, maledicendo il momento che aveva deciso di venire su quella dannatissima base lunare, la sua vita, la sua famiglia… tutto.

    Dopo circa dieci minuti, una voce maschile, gentile e titubante, arrivò alle orecchie della ragazza.
    “E’ permesso? C’è nessuno? Si può?”
    “Chi è?” chiese lei, dopo un lungo sospiro come quelli che si fanno dopo un lungo pianto.
    Un leggero colpo alla porta e apparve un giovane con indosso una tuta da meccanico.
    “Ah, siete voi Altezza, scusate. Ecco, volevo dirvi che la vostra pantera cosmica è a posto. Ho pulito tutti i filtri, revisionato il motore… e ricaricato il telecomando” disse alla fine sorridendo e porgendoglielo gentilmente.
    “G… grazie… i… io ve ne sono molto grata… q… quindi se voglio posso anche partire, vero?”
    “Sicuro! Ho fatto prima del previsto. Buona giornata, principessa.”
    Finì la frase con un inchino corretto e molto educato.
    Rubina si sentì subito rinascere e l’angoscia svanire: era la prima volta in quel giorno tremendo, che almeno uno si comportava da savio, la trattava con rispetto e rispondeva coerentemente alle sue domande.
    Diede un’ultima occhiata panoramica a quel luogo. Non aveva più niente da fare lì, questo era certo.

    Corse felice verso la sua Quenn Panther che brillava sotto il sole; non le era mai parsa tanto bella e cara. Si sentì di nuovo felice. Ad un tratto, lo sguardo fu attratto da un segnale verde lampeggiante: era quello dei messaggi. Accidenti, quanti ne avevano lasciati. Accese per ascoltarli: erano i suoi amici.
    “Ehi, Rubi, che fai? Noi siamo tutti al Drive In, vieni anche tu? Teniamo il posto per la tua navetta, ci sono spettacoli imperdibili per 24 ore infilate – non stop! Ti prendiamo il pop corn e lo zucchero filato, va bene? Vieni!”
    “Sto già arrivando, non vedo l’ora!” gridò lei, con un sorriso fino alle orecchie.

    Dopo neanche mezz’ora, la Quenn Panther di Rubina atterrava nel grande piazzale.
    Sul mega schermo, correvano le scritte dei programmi: “115 puntate di Candy Candy, L’incantevole Cremy, I Puffi, Pollon, Ape Maia, Braccobaldo Show, Gli Antenati”.
    Il suo umore era alle stelle, mentre canticchiava:

    Candy e' poesia
    Candy Candy e' l'armonia
    Candy e' la magia
    Candy Candy e' simpatia
    e' zucchero filato
    e' curiosita'
    e' un mondo di pensieri e liberta'
     
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    FESTA DELLA DONNA

    1-17098926815407


    8 marzo, la celebre Festa della Donna.
    I nostri beniamini degli anime come si comporteranno?

    “Jun, perchè vuoi usare la mia moto?”
    “Ma Tetsuya! Lo sai dove ci troviamo?”
    “Ad almeno 5 chilometri dalla Fortezza della Scienza, perché?”
    “Non pretenderai che li faccia a piedi e da sola, spero!”
    “Camminare ti fa bene, è uno sport completo e poi……. Non dicevi che?”
    “Dico due cose sole: tu hai Mazinga, io nessun mezzo per tornare a casa. Non sei per niente cavaliere e per giunta smemorato assai!”
    “Smemorato per cosa?”

    Jun gli diede le spalle seccata e piegò la bocca in una smorfia tra l’offeso e il disappunto.

    “Oggi è l’8 marzo e in tutto il mondo si festeggiano le donne. Te lo sei scordato?”!
    “No, cara, per questo ti ho consigliato una lunga passeggiata, invece di usare quei rudi mezzi maschili e pericolosi. Ti fa bene all’umore e alla linea che si è ultimamente appesantita. Sarai ben felice di tornare tonica come qualche mese addietro, vero?”

    Queste furono le ultime parole che il giovane pronunciò quel giorno, perché si risvegliò solo molte ore dopo in un letto di ospedale con la testa fasciata che gli dolorava terribilmente nonostante i calmanti.
    Eh, Tetsuya, sarai pure il pilota numero uno, sarai pure quello che fa tremare il regno delle tenebre e del male, quello che:

    Vola, si tuffa dalle stelle giu` in picchiata
    se sei nemico prega e` gia` finita
    la morte batte i denti c’e`
    Ha la mente di Tetsuya ma tutto il resto fa da se’
    non conosce la paura ne’ sa il dolore che cos’e`
    lotta, cade, si rialza sempre vincera`


    Però per certe finezze e un certo tatto con le donne, sei ancora da prima elementare.


    “Alcor! Alcor?!”
    “Che vuoi Maria?”
    “Procton ha detto che dobbiamo fare un giro ricognitivo, sei pronto?”
    “Prontissimo.”
    “Senti, dato che oggi è la festa della donna, non guideresti tu la Trivella e io Goldrake2?”
    “E perché? Sei fuori di testa Maria?”
    “Come ti permetti!”
    “Non te la prendere, lo dico per te, è un mezzo che non conosci bene.”
    “Non fare il finto tonto. Quando stavi lungo disteso, ferito e dolorante, sono io che ho preso il tuo disco e con mio fratello ho distrutto il mostro!”
    “Mi ricordo, ma che differenza c’è se usi il tuo mezzo, e io il mio?”
    “Il tuo è più importante, e oggi voglio sentirmi una regina.”
    “Maria, dà retta a me: sei una principessa e questo ti basti, perché una regina ha troppe responsabilità, credimi. Allora: andiamo?”
    “Dato che sono una principessa e oggi è la festa di tutte le donne, non farò un bel niente. Sarai tu a fare le perlustrazioni; visto che sono generosa ti presto la Trivella, così sarai felice e contento, vero?
    Tanto non hai niente da fare e il giorno è ancora lungo.”

    Così Alcor rimase senza parole e con un palmo di naso.


    “Il grande Vega ci aspetta, spicciati! Sei sempre in ritardo, donna!”
    “Senti caro Gandal, oggi è la mia festa e sono andata a farmi bella!”
    ?
    “Ti sei lavato le orecchie stamattina?”
    “Perché?”
    “Ti ho appena detto che oggi è la festa della donna e ho tutto il diritto di pensare a me stessa una volta tanto.”
    “Ma….. avevo sentito dire che quella è roba da terrestri, che c’entriamo noi alieni?”
    “Non hai un briciolo di sensibilità e nemmeno ti sei accorto del nuovo profumo che indosso.”
    “Proprio perché sono molto sensibile non ti ho detto niente del tanfo che devo sopportare di quel terribile insetticida. Se non altro saremo certi che nessun insetto ci tormenterà.”
    “Davvero?”
    “Certo cara, hai avuto una buona idea.”

    Per il resto della giornata, la faccia del comandante Gandal non apparve più. Occhi pesti, colorito blu scuro e a tratti violaceo.
    La signora invece, col nuovo abito firmato all’ultima moda, i sandali tacco dodici, i ricci freschi di piega, si recò davanti al trono del re.
    “Suo marito sta poco bene?”
    “Sire, è solo un tantino indisposto, avrà fatto indigestione. Con tutte quelle schifezze che ingoia!”
    “Ah! Questi intanto sono per voi, signora. Oggi siete più bella che mai.”
    Le porse un bel mazzolino di mimose fresche e profumate.”
    “Ohhhh, ma grazie, troppo gentile.”
    “Possiamo parlare anche da soli circa le prossime azioni belliche. Le donne ne sanno sempre una più del diavolo.”

    Le strizzò l’occhio in segno di intesa, e dal cassetto privato fece uscire un quaderno pieno di segreti.


    FINE
     
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    THE TOKIO BALLET - SABATO 5 APRILE – ORE 20,00
    Presenta: “LA BAYADERE” Balletto in quattro atti e sette scene, coreografie di Petipa musiche di Ludwig Minkus.


    Si arriva puntuali, docciati e depilati.
    Ben vestiti e pettinati.
    Profumati e rinfrescati.
    Si parcheggia vicino al Teatro.
    Si entra senza correre e in religioso silenzio.
    In caso di difficoltà a trovare il posto, è possibile, con molta discrezione, farsi aiutare dalla maschera.
    Mai attirare gli sguardi alzando la voce.
    Per tutta la durata dello spettacolo astenersi da qualunque commento vocale, che per quanto gentile, suona sempre di dubbio gusto.
    Chi si reca a trovare ristoro al Bar vi rimanga solo lo stretto indispensabile.
    Nel caso di necessità della toilette evitare di chiedere dove si trova e chi vi si reca, lo faccia il più discretamente possibile.
    All'uscita vanno mantenute le regole sopra descritte.
    Classe, sobrietà ed eleganza.

    Da almeno un quarto d'ora, Zuril non faceva altro che rigirare tra le mani con sguardo tra l'attonito e lo sbigottito quel cartoncino contente un biglietto per il teatro con ferree regole di galateo allegate.
    La suddetta rappresentazione era sulla Terra, per la precisione nella città di Tokio, il giorno... e alla fine c'era la firma di re Vega, non c'erano dubbi; ma come mai, che storia era questa?
    A quanto ne sapeva doveva sì recarsi in Giappone assumendo sembianze terrestri per fare un attentato, ma che c'entrava questo col teatro? Che roba era poi? “La Bayadere”? Un balletto? Cos'era uno scherzo? Va bene che Vega era il re e lui benchè eminente scienziato un suo sottoposto, ma essere preso in giro non gli garbava per niente.
    “Ora vado a sentire di che si tratta, voglio sapere chi davvero me l'ha mandato... e se fosse uno scherzo di Gandal e signora? Da come gli sono simpatico potrebbe anche darsi, pesce d'aprile scommetto, ma non mi faccio fregare da nessuno, tantomeno da quei due insopportabili.”
    Il Ministro delle Scienze si diresse con passo spedito verso gli uffici del sovrano.
    La porta era socchiusa, quindi bussò per pura formalità e, senza attendere, entrò nello studio.
    “Buongiorno sire, anzi buon pomeriggio, ecco, io ho trovato questo biglietto sulla scrivania, riportante la sua firma. Non capisco di che si tratta: cosa c'entra il teatro con le spedizioni belliche?”
    Il re lo guardò dall'alto in basso con aria di compatimento, poi lo apostrofò con un:
    “Non capisci? E secondo te, per quale motivo l'ho mandato?”
    “Non... non so, avevo ipotizzato a uno scherzo di qualche mio sottoposto, una piccola vendetta, del resto l'ultimo mostro progettato da Gandal contro i terrestri non ha avuto un grande successo, anzi, una pessima figura ha fatto, e devo ammettere che anch'io ci sono andato pesante con gli insulti, quindi...”
    “Nooo!” Gridò il re battendo un pugno sul tavolo, mente le carte si sparpagliavano a terra.
    “Non ci siamo! Se Gandal ha ideato qualche mostro giocattolo, in quanto a stupidità, tu non sei da meno.”
    Zuril sarebbe voluto sprofondare e al tempo stesso gli montava una gran rabbia per questo dialogo incomprensibile.
    “Ci devi arrivare da solo, ecco! All'interno di questa opera teatrale ci sono degli indizi, delle tattiche per battere i terrestri, ma ci dovrai arrivare col tuo acume a capirlo, chiaro?!!!”
    “No..., cioè sì, va bene, però io...”
    “Niente, non ci sono scuse di nessun genere, anzi, corri a prepararti, svelto, su!
    Sei o no, lo scienziato? Sei o no, il numero uno? Vuoi rimanere al top o fare una brutta fine?”
    “Va bene, va bene maestà, ho capito, anzi cercherò di capire, perchè adesso proprio non...”
    “Fuori di qui!!! Esci!!!”
    Rassegnato, Zuril uscì con la coda tra le gambe, sistemò alla meglio le sue cose e partì.

    La sera del debutto arrivò puntuale a teatro: il suo posto era in una poltrona centrale proprio in mezzo alla sala, postazione ottimale per non lasciarsi sfuggire nulla.
    Il computer oculare era stato potenziato al massimo, anche se ovviamente mascherato per non destare sospetti.
    “Accidenti, che eleganza” pensò osservando il pubblico maschile e femminile, però anche lui faceva la sua bella figura col completo nero lucido e i mocassini in vernice.
    Il terzo e ultimo squillo del campanello annunciava l'inizio dello spettacolo, le luci si fecero sempre più opache fino a spegnersi insieme ad ogni brusio.

    Bayadère I Atto. Il giovane Solor, dopo una caccia soddisfacente, manda i suoi servitori dal Rayah con una tigre da lui cacciata in dono. Solor rimane al tempio, sperando di essere visto da Nikiya.
    Un bramino tenta di conquistare il cuore di Nikiya, che lo respinge. Si propone allora di vendicarsi. Il fachiro Magdaveya avvisa Nikiya che Solor la sta aspettando. Nikiya esce dal tempio con un servo ed incontra Solor, che vorrebbe che lei scappasse con lui. Lei acconsente ma pretende da lui un giuramento d'amore presso un fuoco sacro. Intanto il bramino di nascosto ascolta la conversazione.
    II Atto. Il Rayah è impressionato dal regalo di Solor e lo invita, offrendogli la mano di sua figlia. Solor per paura di offenderlo e colpito dalla bellezza di Gamzatti (la figlia del Rayah), scorda la promessa fatta a Nikiya. Una festa è indetta per il fidanzamento. Alle danze di intrattenimento prendono parte la confidente di Gamzatti, Aiya, e Nikiya. Mentre il Rayah viene informato per volontà del bramino della promessa di Solor a Nikiya, questa è avvicinata da Gamzatti, la quale le svela il nome del suo promesso sposo. Nikiya rifiuta di crederle e si scaglia contro la rivale, ma è fermata da un vecchio servitore. Aiya consiglia Gamzatti sul modo per vendicarsi dell'oltraggio subito.

    III Atto. Il Rayah ordina che Nikiya balli con le altre bayadere. Durante la danza Aiya le dà un cesto di fiori dai quali spunta un serpente velenoso che la morde. Il fachiro uccide il serpente e il bramino si offre di salvarla, a patto che lei poi sia sua. Nikiya rifiutando, balla fino alla morte.

    IV Atto. Solor è addolorato dalla morte di Nikiya. Il fachiro allora gli consiglia il modo di distogliersi dai cattivi pensieri, sottoponendosi agli effetti di un particolare veleno. Solor cade addormentato e sogna di essere in un posto sconosciuto accompagnato da Nikiya. Il fantasma della bayadera morta gli appare, ma alla fine ritrovando la sua Nikiya, le giura che mai più verrà tradita.

    Alla fine dello spettacolo il pubblico era in delirio: ovazioni, ripetuti applausi a scena aperta, richieste di bis, gli artisti non la smettevano più di ringraziare, dai palchi e dal loggione piovevano fiori. Anche Zuril era suo malgrado entusiasta della rappresentazione, solo che per quanto fosse stato attento e ripassasse a mente il balletto rileggendo la trama più e più volte durante gli intervalli, niente gli faceva pensare ad un possibile collegamento, un qualsiasi aggancio all'idea di un attentato perfetto a quella sfilza di ballerine indiane e le loro danze folli, quegli amori di gelosia e tradimenti con omicidio annesso, riti indù, il Regno delle Ombre... ma che roba era? Il suo sovrano era per caso andato fuori di testa o aveva bevuto?
    “Che me lo venga pure a dire lui via radio, che razza di appiglio, di idea, di accidenti ci sta in questo polpettone di balletto, col piazzare una super bomba al centro ricerche di Procton, o scovare il nascondiglio di Goldrake, o sterminare tutto il Giappone”, così ragionava tra sé lo scienziato parlando da solo a bassa voce, catturando l'interesse dei vicini di poltrona.

    Dalla Base lunare un gran fermento era nell'aria, perchè all'insaputa di Zuril, seguivano ogni suo movimento minuto per minuto e la sua espressione tra il disperato, incredulo e sconcertato insieme ai suoi monologhi, faceva sbellicare tutti dalle risate. La principessa Rubina era la più divertita: era piegata in due dal ridere e dovette massaggiarsi le guance ormai semiparalizzate.
    Ad un tratto Vega intimò il silenzio, quindi tutti rimasero sull'attenti.
    “Avete visto bene tutti, vero? E' chiaro, anzi chiarissimo, che ormai questa specie di scienziato è diventato un essere degno da esporre al museo, o meglio da rottamare, un prodotto di scarto. Doveva saperlo da solo che questa era solo una bufala, lo capisce anche un bambino, quindi l'unica cosa saggia e sensata che lui avrebbe dovuto fare, era mettere in atto gli attentati previsti già da alcuni mesi, poi rinviati per cause di forza maggiore, ma siccome col tempo si è via via rincretinito, o affetto da demenza precoce, o altro, non mi interessa, c'è cascato come un pollo e non capisce più cosa deve fare”. Qui il re diede un'occhiataccia nella direzione di Gandal, il quale imbarazzato volse lo sguardo altrove.
    “Comandante Dantus, ora è vostro il compito primario, dò a voi l'onere di conquistare il pianeta Terra e so che ci riuscirete, avete carta bianca fin da ora.”
    “Grazie maestà, non ve ne pentirete”. Seguì un elegante baciamano alla principessa, poi il generale uscì silenziosamente dalla sala.

    Ignaro di tutto, Zuril uscì lentamente dal teatro. Cosa avrebbe fatto ora? Lo sguardo distratto si posò sulla locandina dove in ordine di data erano indicati altri spettacoli.
    “Carmen”, poi “Madama Butterfly”, “Excelsior”, “Il Rigoletto”, “La Boheme”.
    “Mica male pensò, quasi, quasi...”. Una mano femminile si infilò con discrezione sotto il suo braccio, guardandolo dal basso verso l'alto.
    “Buonasera, non vorrei sembrarle inopportuna, ma durante lo spettacolo la osservavo e l'ho visto un tantino spaesato. E’ la prima volta che viene a teatro vero?”
    “Sì, perchè, si vede?” domandò Zuril imbarazzato.
    “Io ho l'abbonamento per due persone: sa, io e il mio fidanzato ci siamo appena lasciati, saremmo dovuti andarci insieme le sere a venire. Le andrebbe di venirci con me? Sempre che le vada e non abbia altri impegni, ovviamente”.
    La ragazza era molto graziosa dentro quell'aderente e scollato abito da sera, fatto tutto di pailettes rosso fuoco, sembrava cucito apposta su di lei. Zuril rimase alcuni secondi a pensare, poi le disse: “Molto volentieri, grazie, e intanto contraccambio il suo regalo con l'invitarla a cena proprio adesso.”
    Nel dirlo, la guidò verso la strada prendendola per mano e insieme attraversarono la via.
    Alla base lunare Skarmoon intanto, si brindava senza economia.


    FINE
     
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    VITA DOMESTICA

    1-17099859472683

    Di solito, cosa si aspettano due piloti come Alcor e Actarus dopo un estenuante duello con il solito mostro di Vega, piuttosto restio ad essere sconfitto, il quale prima di finire sbriciolato, ti ha fatto sudare qualcuna in più delle canoniche sette camicie?
    Credo si aspettino, non dico una pedana chilometrica di velluto rosso con gli inchini di tutti gli abitanti del Giappone, ma almeno un caloroso benvenuto di ritorno al ranch da parte di tutta la famiglia Makiba, e non un brontolio sommesso e continuo da parte di Rigel con rimproveri a catena per non aver finito tutti i lavori.
    Sorvolando questa inezia ormai di ordinaria amministrazione, si vorrebbe trovare in tavola una cena che ripaghi e ritempri il fisico e la mente dopo la battaglia.

    In pieno luglio e con un caldo da incubo, ecco che veniva invece servito un piatto bello colmo fino all’orlo di brodo bollente, che una volta portato in tavola continuava a fare le bolle, perché la roba fredda nuoce alle tonsille e fa male, seguito da un secondo che sarebbe stato molto più gradito a gennaio inoltrato.
    Conseguenza logica: altro interminabile copioso bagno di sudore, qui di camicie ce ne sarebbero volute per un esercito, la doccia è solo un lontano miraggio, perchè dopo bisognava avvicinarsi al caminetto acceso, visto che al tramonto l’aria si fa fresca, quindi finestre tappate col fumo della pipa che produceva altro calore, ascoltare le formidabili prodezze da cow-boy di Rigel ai tempi in cui viveva ancora in America, gli antenati samurai e loro usanze… tutto ciò per alcune interminabili ore.

    Venusia intanto era impaziente di stare un poco da sola con Actarus, avere notizie dettagliate sulla battaglia e non solo, senza ovviamente farsi capire da Rigel e Mizar ancora certi all’epoca, che solo Alcor, col suo mezzo rudimentale, tenesse a bada minidischi e compagnia.

    Verso mezzanotte, Rigel diede finalmente cenni di sfinimento e andò a dormire, quindi tutti gli altri furono finalmente liberi di fare i propri comodi.
    “Oggi vi ho osservato durante la battaglia dal centro spaziale e ho notato qualcosa di sospetto, io credo che qualche alieno travestito da terrestre sia sceso qui in Giappone a prendere le misure per costruire una base”, disse Venusia sottovoce ad Alcor e Actarus appena usciti dal bagno ristoratore nel corridoio che portava alle rispettive camere da letto.
    “Ne sei sicura? Raccontami bene tutto” le chiese Actarus ammirandola da capo a piedi, visto che indossava una camicia da notte estiva fatta di… aria.
    Un velo impalpabile rosa carnicino piuttosto ampio e svolazzante: non occorreva troppa fantasia per immaginare il contenuto e doveva essere un contenuto di tutto rispetto, date le occhiate eloquenti e ammirate del principe caduto dalle stelle e quelle clandestine, ma non meno intense di Alcor.
    “Venite nella mia stanza, è meglio.”
    Dopo venti minuti di scambio di vedute, decisero che per il momento non c’era nulla di grave, quindi finalmente andarono a riposare.

    Sul far dell’alba vennero tutti svegliati all’improvviso da un gran botto proveniente dal piano terra, quindi scesero di corsa a controllare.
    Videro una figura piuttosto alta e robusta vestita con una tuta di ciniglia color ciclamino battere con forza e prepotenza il pugno sulla porta d’ingresso.
    “Ehi ci siete?! La vostra mandria è scappata e sta devastando tutta la mia proprietà…”
    Hara, alquanto su di giri e piuttosto furiosa, gridava con quanta voce aveva in gola.
    “Calmati un momento, di quale mandria stai parlando? Io la sera chiudo bene le stalle, non sono come te e quella sottospecie di figlio che vive in quella baracca, circondata da una mulattiera al posto della strada dove non può mai passare l’autobus!” l’apostrofò Rigel con voce spiegata e tonsille bene in vista.

    Intanto Hara approfittò della discussione per entrare in casa senza essere invitata.
    “Ho avuto una giornataccia ieri, se avete già preparato il caffè posso averne una tazza?”
    “Mi dicevi cosaaaa? Che i miei animali stanno danneggiando la tua proprietà?”
    “No, se mi dici che li hai chiusi bene, devono essere le mandrie di qualche altro fattore che confina con la mia strada. Cosa avete per colazione?”
    Intanto con la manona pescava nel sacco da chilo di biscotti al malto, cioccolato e miele, poi dal bollitore sul fuoco versava nella tazza presa dall’armadietto, quasi tutto il caffè che conteneva.
    “Il cucchiaio non è commestibile e nemmeno la tazza, quindi se hai finito puoi tornartene da dove sei venuta”, la informò Rigel trattenendo con sforzo un gergo meno educato.

    Uscita nel cortile, Hara cominciò a guardare con aria scrutatrice, saccente e riprovevole le piante e le siepi vicino all’abitazione: “Questi fiori vanno innaffiati più spesso, quella pianta grassa non ha spazio in un vaso così piccolo; dove avete messo quella grande olla che serve per contenere i gerani che vi ho regalato per Natale?
    Tu Venusia, non sei una donna di casa molto attenta, guarda, per il tuo bene ti dico che se non usi il sistema per talea, troverai a breve tutto secco e rovinato.”

    La ragazza intanto era rientrata in cucina a preparare dei ghiaccioli di vari gusti come piacevano a Mizar, arancia, menta, lampone, ribes, pesca, limone, alla faccia del caldo e delle manie di suo padre, accidenti! Ci mancava solo quell’impicciona maleducata di Hara piombata lì allo spuntar del sole a ficcanasare, ma quando se ne andava? Non aveva da fare i suoi lavori anche lei come tutti?
    Ah ecco, meno male, la mise color ciclamino stava prendendo il largo, era ora, notò con sollievo Venusia affacciandosi sulla porta d’ingresso.

    Tra una mungitura alle capre, sistemare le stalle, una cavalcata, zuppa bollente all’ora di pranzo, rigovernare, litigare, gridare agli ufo, in un qualche modo le ore passarono, e il cielo si tinse poco alla volta dei colori che preannunciavano il prossimo luccicare delle stelle e fu in quel mentre, che furtivamente Actarus prese per mano Venusia e la fece entrare nella propria camera, chiuse la porta a chiave lentamente e senza far rumore.
    Furono vicini, di fronte l’uno all’altra, poi lui le pose la mano sulla guancia vicino alla tempia, una carezza leggera e impalpabile come la camicia da notte che lei indossava, poi sedettero vicini sul davanzale della finestra aperta a guardare le stelle.
    Lui la teneva tra le braccia e lei dandogli le spalle sentiva la sua voce che le accarezzava l’orecchio, frasi sommesse, entrambi storditi dall’odore che emanavano e dai profumi dell’estate che entravano con prepotenza dalla finestra.

    Qui il sipario calato è composto da una leggerissima e impalpabile camicia da notte velo di cipolla, lieve e soave come i baci che si stanno scambiando i due giovani: mi rendo conto all’improvviso di essere di troppo, quindi esco piano piano dalla camera in punta di piedi cercando di non svegliare nessuno, soprattutto Rigel e vado alla ricerca di qualche altra corvè domestica che possa essere spunto per le mie storie.


    Base lunare Skarmoon


    “Io voglio sapere perché devo sopportare questo terribile tanfo che tu osi chiamare profumo alla francese che mi propini da settimane, e nemmeno chili di sapone riescono a eliminare!”
    Così parlava Gandal alla legittima consorte da qualche mattina a questa parte.
    “Sei tu che non capisci niente, non hai gusto; allora, visto che sei entrato sull’argomento delle lamentele, ti dico subito che da anni taccio sulle tue unghie mal tagliate e mal curate: passi non mettere lo smalto perché sei un uomo, ma sono brutte, sporche, incolte, è un bel castigo dover condividere lo stesso corpo, accidenti! Per oggi ti risparmio il tema vestiario, perché sono buona e anche perché si è fatta l’ora in cui di solito il nostro sovrano vuole parlarci per attuare le strategie di attacco alla Terra!”

    Entrati nella sala comando videro con stupore che la principessa Rubina era arrivata alla base lunare: strano, non ne sapevano niente, credevano fosse ancora su Rubi a sistemare le ultime spinose questioni burocratiche.
    Sua Altezza stava seduta, no, quasi distesa sulla poltrona di velluto cremisi, stanca e annoiata a morte di tutto e di tutti.
    “Si può sapere che cos’hai di preciso?” le domandò il padre con premura.
    “Dalle ultime notizie che ho avuto, gli abitanti del pianeta sono abbastanza tranquilli, non ci sono state grandi sommosse, né scontri sfociati nel sangue…”.
    “E’ questo il punto!” ribattè lei senza troppa energia. “Io mi diverto solo quando posso compiere genocidi a catena e soprattutto con qualche miliardo di morti, è da tanto che questo non avviene e io sono stanca, depressa e annoiata: rischiavo di morire di inedia, quindi mi sono detta, noia per noia, vengo qui a sentire se ci sono novità…” disse la ragazza buttando lontano la rivista che aveva sfogliato distrattamente.
    “E’ un periodo di fermo anche qui: ci sarebbe molto da fare, ma questi collaboratori mi stanno facendo impazzire, non combinano niente di buono, fanno errori stupidi, sono svogliati, io dico che sto pensando seriamente di sostituirli tutti e quando dico tutti, non ne escludo nessuno.
    Lo sai che l’altra sera Gandal e consorte si sono divertiti a fare il sacco nel letto a Zuril?
    Sembrano regrediti allo stadio infantile, no peggio, ridevano come dei cretini, poi pensano che io non li veda, come no, credono di farmi fesso, come quando la settimana scorsa, l’inappuntabile ministro delle scienze, in vena di esperimenti, ha messo una dose massiccia di sonnifero nel doppio cognac a Hydargos, perché voleva vedere se riusciva a procurargli un coma etilico…”

    Rubina non era interessata all’argomento, tratteneva gli sbadigli a fatica, mentre con l’indice arrotolava distrattamente una ciocca di capelli e i suoi occhi senza espressione erano persi in un punto lontano.

    Zuril intanto, per dimostrare che aveva voglia di lavorare, entrò nella sala con un pacco di fogli impilati raffiguranti le bozze di nuovi mostri da combattimento.
    Entrato senza guardare dove metteva i piedi, andò a inciampare sulle gambe distese per quanto erano lunghe della principessa, cadendo in avanti e nella caduta i fogli si sparsero per tutta la sala.
    Rialzatosi non potè credere ai propri occhi: l’oggetto dei suoi sogni leciti e non era lì, in carne ed ossa, che magnifica sorpresa, come mai non ne sapeva niente?
    “M… ma che novità, non sapevo che ci stavate onorando con la vostra presenza, a cosa debbo questa gradevolissima visita inaspettata? Siete sempre molto bella sapete? Oggi più di ieri, domani…”
    “Voi invece mi sembrate un ramarro in corsa, di quelli che sono raffigurati nelle spille decorative: sempre verde, sempre disgustoso, sempre antipatico, sempre...”

    “Sì Rubina, abbiamo capito, pensiamo piuttosto a cosa fare adesso: vuoi andare in vacanza da qualche parte? In quella rivista che stavi leggendo ci sono dei club con tanti giovani, tanto divertimento…” le disse suo padre.
    “Tanto tornaconto anche, perché è pieno di bellimbusti che ti fanno il filo per portarti subito a letto e prima dell’alba ti hanno già scaricato!”
    “Non occorre scendere nei dettagli, se questa cosa non va bene si troverà dell’altro”, le rispose Vega alquanto imbarazzato della piega che stava prendendo la conversazione.
    Trascorsero alcuni minuti di silenzio assoluto, poi la principessa si alzò in piedi con un salto verso l’alto, tutta luminosa e felice: “Ho trovato! Che idea meravigliosa mi è venuta, come ho fatto a non pensarci prima?
    Sentite bene: scendo sulla terra a razzo, vado a riprendermi il mio storico fidanzato e lo porto qui, poi ci sposiamo e facciamo tanti bambini!!! Sì, sì, corro!”
    Prima che i presenti potessero formulare nella loro mente un pensiero logico e connesso, la Quenn Panther era già scomparsa nello spazio profondo, diretta come un missile verso il pianeta Terra.

    EPILOGO
    Qui termina la mia missione di reporter e non mi è dato sapere lo svolgersi degli eventi futuri: nel caso mi venissero conferiti altri incarichi sull’argomento, vi terrò informati. Ciao!



    FINE
     
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    VISITE MEDICHE

    1-17100510826069

    L’assistente del luminare scienziato entrò nella sala d’aspetto dove i coniugi Gandal attendevano il loro turno.
    “Potete entrare, il dottore vi aspetta.”
    La ragazza aprì la porta e la richiuse subito alle sue spalle, dopo averli fatti accomodare: teneva in mano una cartella, era giovane e graziosa, molto professionale nei modi e l’atteggiamento.
    I Gandal intanto, due esseri in un corpo solo, con una certa soggezione fissavano le pareti dello studio austero, mentre l’illustre medico sfogliava con pignoleria estrema la loro cartella clinica, si soffermava sulle date, i controlli, ma soprattutto non si stancava mai di esaminare con minuzia l’intero fascicolo dove nel dettaglio era descritta l’operazione subita da Gandal dopo che l’astronave sulla quale viaggiava insieme a Hydargos aveva preso fuoco e il suo sottoposto era perito nel frontale contro Goldrake, mentre “lui-loro” si “era-erano” salvati per miracolo.

    Alla parete era appeso un quadro dove si attestavano tutti i titoli conseguiti dal professionista: medico chirurgo, neurologo, master in psichiatria, laurea col massimo dei voti e con lode, corsi all’estero, l’elenco era infinito… e anche l’attesa, ma quanto ci metteva a parlare, accidenti?
    I due coniugi stavano composti in trepidante attesa, in tacito accordo avevano equamente diviso il cranio metà maschile e metà femminile, per agevolare il colloquio e la diagnosi.
    Si sentivano come due scolaretti in attesa del voto sul compito svolto, nemmeno di fronte al loro sovrano erano mai stati così in soggezione: volevano dare buona impressione e si ripromettevano di parlare educatamente e non scavalcarsi come spesso facevano.
    Finalmente il dottore ordinò meticolosamente i fogli, chiuse la cartella e con gli occhi fissi su di loro cominciò a parlare.
    “Il vostro caso mi era già noto, in quanto ai tempi dell’incidente e della successiva operazione, ci sono state diverse pubblicazioni sul fatto anche all’estero, anzi, in molte università viene studiato, alcuni studenti azzardano l’argomento di discussione nella tesi di laurea, si prova a ripetere l’operazione usando cavie, la ricerca continua.”
    Una pausa, mentre con una biro tracciava strani segni sul foglio.
    “Come sapete, io ho diverse lauree ed altrettante specializzazioni e da quanto emerge dalla vostra cartella non vedo patologie di sorta, mi complimento con voi per le ottime analisi…. credo quindi che il movente che vi ha fatto scomodare per arrivare fin qui, sia di natura ben diversa da malattie e diagnosi standard. Chi se la sente di cominciare?”
    Lady Gandal prese subito la parola.
    “Ecco dottore, io ho alcune cose molto importanti da dire. Prima di tutto, dal giorno in cui ci fu quel terribile scontro e l’incendio, si è sempre dato importanza a lui, sì mio marito, perché era la parte visibile, quella che tutti vedevano, operavano, curavano, ma nessuno, dico nessuno, si è preoccupato per me, di come mi sono sentita in quei terribili momenti, del dolore fisico, della solitudine, del senso di soffocamento, dato che io per diversi giorni non sono mai potuta uscire, e non ultimo, a nessuno è mai importato come… come io mi sentivo e mi sento tutt’ora con un altro aspetto e, cosa gravissima, non ho più un corpo solo mio e quindi femminile, ma lo condivido con il mio coniuge, quindi è un corpo maschile!”
    La donna aveva parlato con foga, ora il suo respiro era affannoso, ma si vedeva che era solo all’inizio del suo sfogo, quindi prese fiato e continuò.
    “Quando ci fu l’incendio, la faccia visibile dall’esterno era solo quella maschile, ma io ero dentro, credevo di bruciare, mi sentivo davvero incendiare, ho provato ad uscire come facevo sempre quando avevo un corpo molto piccolo ma solo mio… la porta era sigillata, chiusa a doppia mandata, ho capito che era la fine, sì, non sarei sopravvissuta, e credo a quel punto di avere perso i sensi.”
    “Cosa ricorda dopo, quando si è ripresa e quando ha avuto contatto con la realtà?” domandò lo scienziato fissandola con gli occhi stretti in due fessure, mentre continuava a scribacchiare strani geroglifici.
    “N… non lo so…, non ricordo, ho rimosso, io…”
    La voce si incrinò dall’emozione e per alcuni minuti le fu impossibile parlare.
    “Prenda un po' d’acqua, poi vada avanti, è molto importante.”
    “Qualcuno ha accennato che probabilmente sono rimasta in coma alcuni giorni, ma non l’ha detto a me, un qualcosa che ho captato nell’aria, perché, ripeto, nessuno mi ha spiegato niente, o meglio niente sul mio stato di salute e trauma; quando tutto si è risolto, i miei compiti e ruoli di responsabilità lavorativa, mai vennero trascurati. In poche parole, vedendo che ero in salute, per tutti ero a posto.”
    “Dalla foto del suo stato fisico precedente, noto infatti che lei era tutta un’altra persona, se non sapessi fosse lei, non potrei riconoscerla, quindi il suo processo di elaborazione al cambiamento è appena iniziato, la sua identificazione con sé stessa è ancora allo stato embrionale, molto primitivo.”
    Dopo una breve pausa aggiunse: “Questo momento delicato come lo vivete? C’è supporto reciproco?” indagò il dottore puntando la punta della matita ora all’uno, ora all’altro con fare inquisitorio.

    “Certamente dottore, garantisco io! Amo, stimo e ammiro mia moglie, non potrei vivere senza di lei, non le faccio mancare niente…”
    “Un momento”, con un gesto della mano il medico lo interruppe.
    “Se mi dice che non può vivere senza di lei, ha scoperto l’acqua calda scusi, ma per forza, ognuno di voi due rimane in vita finchè l’altro è vegeto, i vostri organi vitali sono in comune.
    Quello che volevo sapere è se quanto ora la signora ha appena illustrato, ne aveva già parlato con lei, se c’è sostegno morale, confidenza, insomma…, ecco guardi qui: Erich Fromm “L’arte di amare”.
    Sfogliando le dita elencò uno alla volta i presupposti fondamentali della vita di coppia scritti in un volume.
    “Rispetto, responsabilità, conoscenza, premura.”
    “Che cosa sono?” chiese Gandal cascando dal pero.
    “Sono quelle cose che a voi mancano completamente da quanto vedo, e questo è un lavoro che dovete fare insieme, sennò non ne uscite, perché, parliamoci chiaro, se uno di voi due si stanca del coniuge, si innamora di un altro, vuole fare un viaggio da solo, o ancora divorziare, non lo può fare, questo è impossibile, quindi si deve trovare un modo giusto per coabitare, cioè né la parte maschile, né la parte femminile devono prevalere, non devono sopraffarsi, ma integrarsi, pur mantenendo due ruoli ben distinti. Nel vostro caso, la signora parte svantaggiata per almeno due motivi: uno è stato lo stravolgimento totale della sua immagine esteriore, il secondo è che ora di femminile ha solo la faccia, il corpo no, mentre prima era autonoma, una miniatura di donna, ma singola, staccata, anche se entrambi legati a filo doppio. Mi spiego?”

    Entrambi assentirono col capo.
    “Ci sono domande?”
    “Sì, vorrei capire ancora una cosa, dottore. Quando ero dentro la testa di lui, non mi curavo del mio aspetto, né della mia persona, ora invece ci tengo moltissimo e non sa quanto mi pesi non poter indossare dei begli abiti, sandali tacco dodici, per non parlare di quegli artigli che lui tiene al posto delle unghie”.
    Abbassando la voce, aggiunse: “Si lava poco, quando dorme russa, è villano…”
    “Io sono a posto così, invece, ho capito e ho fretta di rientrare alla base.”
    “Va bene potete andare, ma vi fisso un altro appuntamento per il mese prossimo, voglio vedere dei cambiamenti. Per prima cosa leggete questo libro che vi dò, poi mi consulterò coi colleghi per sapere se sarà possibile attraverso un’operazione, dividere anche il resto del corpo metà donna e l’altra metà uomo.”
    Gandal si alzò dalla sedia furibondo.
    “Questo mai e poi mai, non lo permetto, io non intendo operarmi mai più, altrimenti chiederò il divorzio!”
    Il dottore si alzò, lo scrutò a lungo con aria grave, tese la mano e disse: “Vedo con piacere che ha seguito con molta attenzione tutto il nostro colloquio, quindi non c’è bisogno di altri appuntamenti, addio.”
    “Io invece voglio tornare”, disse la moglie inviperita, “e se tu non vorrai seguirmi, verrò da sola!”
    “L’uscita è da quella parte, buona serata”, li congedò così il medico scuotendo il capo.
    Quel giorno realizzò che tutte le sue lauree, master, aggiornamenti, erano diventati all’improvviso, solo carta straccia.


    FINE
     
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    CONFIDENZE

    1-17100513030455

    Il lungo filo per stendere il bucato degli abitanti del ranch Makiba si stava lentamente riempendo di un numero interminabile di lenzuoli: Rigel e Hara lavoravano fianco a fianco, avevano deciso di approfittare della bella giornata tiepida e ventosa per sbrigare questo lavoro, nel frattempo conversavano amabilmente tra loro.
    “Banta è un gran lavoratore, per questo non ha finito gli studi, vuole aiutarmi in tutto e per tutto, io insistevo perché si diplomasse al liceo insieme a Venusia, sai, intelligente com’è, sarebbe potuto diventare chissà cosa, ma non voleva pesare troppo sulle mie spalle e così…” blaterava Hara spiegando bene i panni con le mani e una molletta per il bucato infilata in bocca.
    “Infatti…” bofonchiò Rigel a denti stretti, “è vero, comunque mia figlia non ha mai trascurato i suoi lavori in casa e alla fattoria e si è diplomata col massimo dei voti; nel frattempo è diventata campionessa di ginnastica, avrai letto il giornale, ha vinto lei la gara, prima campionessa assoluta.”
    Così si vantava il ranchero con aria di superiorità verso la sua vicina.
    “Sì, sì, ricordo, so che mio figlio le moriva un poco dietro, per fortuna ha fatto retromarcia in tempo, era solo una piccola cotta di una stagione e via, uno come lui può avere di meglio, non che io abbia niente contro Venusia per carità, ma un bel ragazzo come lui, può aspirare a una Miss, non certo accontentarsi di una ragazza come se ne vedono tante in giro.”
    “Già, infatti…… COOMEEE??? COOOSAAAA??!!! Come hai detto? Ripetilo, cos’è Venusia???”
    Sulla faccia di Hara si stampò un’espressione totalmente stupita e interrogativa mentre lisciava un lenzuolo.
    “Perché, cosa ho detto che non va?”
    “Hai detto che mia figlia non è nulla, che Banta è meglio di lei, più bello più intelligente, più…”
    “Certo, ma ho detto la verità, non è mica un’offesa, non capisco perché ti scaldi tanto.”
    Rigel gettò a terra con rabbia una candida federa per cuscini, cominciò a sbraitare agitando le braccia arrabbiatissimo.
    “Tuo figlio è un menomato mentale, un’incapace, mangia pane a tradimento, buono a nulla, ladro, infame, magari avesse accanto una che sia soltanto la pallida ombra di Venusia, potrebbe baciarsi i gomiti, ci ho pensato bene io a tenerlo lontano da lei, sempre a ronzarle intorno, ma col fucile spianato, l’ho fatto sparire lontano tra nuvole di polvere, e tu osi…”
    “Si può sapere cosa ti ho detto di così grave? I due ragazzi non erano adatti e sono andati ognuno per la loro strada, tutto qui.”
    “No, tu hai detto che Banta è troppo per Venusia, che lei vale poco, ti sei permessa questi insulti.”
    Hara si battè la tempia con l’indice per indicare che Rigel stava vaneggiando.
    “Guarda che hai capito fischi per fiaschi, quando mai ho avuto da ridire su quella ragazza?
    Lavora sodo, studia, si impegna, è carina… solo che il mio Banta la sovrasta di parecchi palmi, tutto qui, che problema c’è?”
    “Te lo dico io che problema c’è, ecco!”
    Prese l’enorme secchio colmo d’acqua grigia con l’intenzione di rovesciarlo addosso a quella maleducata che aveva per vicina, ma siccome era molto pesante, gli schizzi finirono su tutto il bucato steso, oltre che sopra i due litiganti.
    Da lontano i lenzuoli così macchiati ricordavano vagamente certe pitture futuristiche molto in voga.

    “Allora vi aspetto, a tra poco!”
    Alcor aveva appena finito di conversare con Boss, il quale gli aveva promesso di venire prestissimo a fargli visita, infatti dopo appena un’ora eccolo al ranch in compagnia dei suoi inseparabili aiutanti Nuke e Mucha.
    “Ben arrivati, da quanto tempo non ci si vedeva, entrate, ho tante cose da raccontarvi!”
    “Anche noi!” risposero i tre in coro “è un periodo di noia totale, per fortuna esistono gli amici.”
    Si accomodarono in veranda e mentre erano intenti a sorseggiare tè verde e bevande fresche, parlarono delle solite cose, i robot da progettare e costruire, idee brillanti, azzardare qualche ipotesi di vacanza.
    “A proposito” esordì il capo ingoiando in un solo boccone tre piccoli panini farciti “sai Alcor, l’altra notte ho avuto un’idea strepitosa per adescare qualche ragazza togliendole di torno tutti i soliti mosconi ronzanti, sai che brillante idea mi è venuta?”
    “No, non so” gli rispose Alcor, mentre Nuke e Mucha atteggiavano la loro espressione a disgusto.
    “L’altro giorno ho preso dall’orto qualche chilo di ortaggi per il minestrone, ho abbondato con estratto di cipolla freschissima, poi ho fatto una gigantesca spremuta di aglio da bere a piccoli sorsi: era tutto buonissimo, quindi la sera stessa mi sono recato in un locale dove non mancano mai bellezze mozzafiato, dopo un lungo respiro ho soffiato sopra tutti i maschi presenti, facendoli scappare all’istante.”
    “Lo credo bene, ma le ragazze come ci sono rimaste?” gli domandò Alcor trattenendo il respiro, mentre i due aiutanti avevano tirato fuori il fazzoletto e lo tenevano premuto sopra il naso.
    “Ora che ci penso, non so, mah, si era fatto tardi e se ne stavano andando, quest’altra volta andrò là molto prima e ti assicuro che le farò cadere tutte ai miei piedi.”
    “Su questo non ho dubbi… potrebbe essere un’idea geniale per allontanare i mostri di Vega, è un progetto da applicare al tuo robot, mettiti all’opera e vediamo se funziona.”
    “No, per carità” gridò Mucha allarmato “per due notti abbiamo dormito fuori, in casa l’aria era irrespirabile anche con le finestre aperte.”
    Aggiunse Nuke sottovoce ad Alcor: “abbiamo messo il diserbante su tutte le colture di porri e affini, speriamo sia sufficiente, perché sai come dice il proverbio: l’erba cattiva non muore mai.”
    “Bene ragazzi si è fatto tardi, andiamo: ciao Alcor, stammi bene e alla prossima!”
    “Che matti quei tre, però avere degli amici così è bellissimo.”

    Da molte settimane Hydargos non sentiva più quella vocetta stridula della moglie di Gandal, anzi, a pensarci bene, era un bel pezzo che il suo cranio rimaneva ben sigillato e non gli compariva più davanti quell’essere portatore di sciagure, sì perché ogni volta che lui falliva immancabilmente nel tentativo di distruggere Goldrake, lei lo faceva veramente a pezzi moralmente parlando, molto più di tutti gli altri suoi superiori, i quali non erano certo mai stati teneri con lui, Vega soprattutto, ma lei era un vero mostro: antipatica, sadica, ignorante, cattiva, brutta, impicciona, supponente, iettatrice… “Poi, quale altro aggettivo posso affibbiarle?” si domandava il veghiano confuso.
    “Mah, non saprei, però so per certo, che da quanto non la vedo più, sono più sicuro di me, il prossimo attacco sarà quello definitivo, me lo sento, vincerò con tutti gli onori. Il problema è che non so quanto potrà durare questo stato di grazia, visto che non ho notizie di lei, mi proverò a indagare con discrezione, almeno fosse sparita per sempre… che abbiano divorziato?
    Potrebbe anche essere, però qui il clima è stato tranquillo, Gandal è sempre lo stesso, non si è assentato a lungo, notule di avvocati non ne ho viste, quindi, dove può essere finita?
    Forse è andata in ferie da sola o con le amiche? No, impossibile, per una come lei una vacanza sarebbe una sofferenza, con chi se la prenderebbe, avere delle amiche neanche a pensarci, chi la sopporta?”
    Improvvisamente sul monitor apparve l’immagine del suo sovrano, quindi Hydargos si mise prontamente in orecchio e sull’attenti.
    “Sei pronto a sferrare l’attacco col nuovo mostro?”
    “Sicuro!”
    “Allora muoviti, svelto, non perdere tempo!”
    “Subito sire.”
    Il veghiano si diresse prontamente verso la Terra col suo disco, intanto ragionava ad alta voce:
    “Questo è il giorno della mia vittoria, diventerò Comandante Supremo, quindi, la prima volta che spunterà dalla testa aperta di Gandal quell’odiosa vipera che mi ha sempre ostacolato nei miei successi, non me ha fatta passare una liscia, mi ha infamato sempre davanti a tutti, io con la mano la prenderò al volo in una frazione di secondo prima che lei rientri e la butterò nello spazio infinito, no nella valle infernale, meglio ancora negli abissi di fuoco e ghiaccio, sparirà per sempre quell’essere diabolico, se ne pentirà di avermi mandato un mese nelle miniere di Giove, sempre a sghignazzare, a trattarmi come un idiota, un verme, e come si divertiva, lo faceva con un gusto, ma la sistemo io adesso!”
    Il disco era già in prossimità della Terra, Hydargos si sentiva in forma e con una voglia matta di distruggere tutta la base di Procton, i collaboratori, spazzare via tutti gli abitanti del Giappone e non ultimo, ridurre in briciole quel dannatissimo e potentissimo robot fleediano insieme ai dannati velivoli studiati apposta per combattere e vincere sempre meglio.
    “Che strano, mi sembra di sentire quell’odiosa vocetta di zanzara, a forza di pensarci ho l’impressione di averla appresso, invece…”, disse ad alta voce ridendo di gusto.
    Davanti al vetro dell’astronave si materializzò improvvisamente proprio lei, lady Gandal, rosso fuoco dalla testa ai piedi, la legittima consorte del Comandante.
    “Eccomi qui, in perfetto orario!” Articolò bene le sillabe con voce ancora più stridula del solito.
    A Hydargos venne meno la parola, mentre una miriade di puntini balenanti e a vivaci colori offuscarono la sua vista.
    “Ma…… ma…… come….. cosa…..?” riuscì a sillabare con un filo di voce molti secondi dopo la magica apparizione.
    “Sono venuta con te per fare a pezzi Goldrake e compagnia, per poi tuffarci insieme negli abissi siderali, andare ai lavori forzati nelle miniere di Giove, farci a pezzettini in due: è più istruttivo e divertente no? Bella sorpresa vero? Dimmi che sei contento! Da solo ti saresti annoiato a morte!”
    Lady Gandal appariva quanto mai in forma e scattante, corde vocali a vele spiegate, piena di voglia di fare, brillava di luce propria, luce che trafigge, brucia, consuma e disintegra.


    FINE
     
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    Da questo doppiaggio molto cambiato dai dialoghi originali del film “Goldrake addio”, ho avuto l’idea di farci sopra una storia ancora più assurda, ancora più fuori dalla realtà dell’anime, ancora più tutto.

    Scena della barchetta sul lago:


    Rubina: Sai, Actarus, stavo pensando a quante stelle ci possono essere nell’universo intero.
    Actarus: Tante, ma nessuna è bella come i tuoi occhi.
    Rubina: Ho passato con te i più bei giorni della mia vita.
    Actarus: Che peccato che domani dobbiamo partire.
    Rubina: Noi dobbiamo rivederci! Ci troveremo qui il prossimo anno.
    Actarus: Sì Rubina, te lo prometto, non posso vivere senza di te.
    Rubina: Oh Actarus, adesso dimmi che mi vuoi bene.
    Actarus: Sì, sì.


    Questo dialogo avvenne alla fine di una vacanza della durata di tre settimane, quindi prima ci furono svariati eventi, incontri, colpi di scena.

    Il pianeta Bez era una stella non troppo grande, pacifica, poco abitata, circondata dal mare, vaste spiagge, l’entroterra con laghi, fiumi, ruscelli, una vegetazione lussureggiante, clima costante, niente inquinamento.
    Questa piccola stella, nella parte esterna verso sud, vantava un grande edificio tutto bianco e verde a ridosso di una vasta spiaggia dove la sabbia era quasi impalpabile, luogo ideale per ospitare giovani benestanti, che per la prima volta avevano il permesso di andare in vacanza da soli, prima tappa verso l’indipendenza, finalmente lontani da genitori apprensivi e sempre pronti a vietare tutto.
    La struttura comprendeva personale preparato e responsabile in grado di sorvegliare adeguatamente i teenagers, intrattenerli, coinvolgerli in attività di gruppo, farli divertire e tanto altro.

    In un luminoso mattino di inizio luglio, atterrarono su Bez, un ragazzo e una ragazza che a giudicare dal loro aspetto, sembravano aver appena varcato la soglia della pre-adolescenza; appena le rispettive astronavi guidate dai loro precettori toccarono il suolo, si congedarono velocemente dagli stessi con un saluto rapidissimo senza la minima ombra di rimpianto o nostalgia, e con un sorriso che arrivava alle orecchie, corsero alla reception dove subito ebbero la conferma della loro prenotazione, chiave della camera, un libretto con la piantina del luogo, gli orari dei pasti, degli svaghi, numeri di telefono per ogni necessità, la raccomandazione di divertirsi e usare il loro tempo al meglio, di fare tutto il possibile perché questo soggiorno fosse per ognuno di loro indimenticabile.

    Un ascensore imbottito come scrigno li accolse, salì al terzo piano e si aprì su un corridoio di marmo bianco.
    In fondo, una vetrata alta fino al soffitto, faceva da cornice ad una pineta e sulla destra si intravedeva uno scorcio di laghetto, dove alcune vele navigavano lasciandosi trasportare dalla brezza.

    I due ragazzi, rispettivamente Actarus e Rubina tenevano ben strette in mano la chiave della loro stanza e già la mente febbrile si popolava di fantasie su cosa avrebbero fatto più tardi, domani, dopodomani, una voglia pazzesca di non stare mai fermi.

    “Ciao, mi chiamo Rubina e sono veghiana, tu invece?”
    Chiese la fanciulla tendendo la mano paffuta al ragazzo che le stava a fianco.
    “Io sono Actarus e vengo da Fleed, piacere di fare la tua conoscenza.”
    Le rispose stringendo la mano di lei, con una presa forte e virile.
    “Ci vediamo più tardi.”
    “A dopo”, gli rispose con un sorriso civettuolo sulle labbra e la testa inclinata di lato.
    Rubina entrò nella camera avvolta nella penombra e subito sorrise.
    Era come l’aveva vista sul monitor quando era ancora su Vega; aveva chiesto un letto a baldacchino tutto rosa, poltroncine di raso e velluto, la specchiera esattamente come lei aveva desiderato, cioè la riproduzione esatta della casa della Barbie che a lei piaceva tanto e con la quale giocava sempre.
    “Mi metto subito il costume, secchiello, paletta, formine, salvagente a forma di cigno e rimango in spiaggia fino al tramonto!”
    Uscì dalla camera col due pezzi a fiori pieno di frappe e volants, zoccoletti ai piedi, Actarus la raggiunse subito e insieme scesero diretti verso il mare.

    In quell’ora c’era il pieno di gente: ragazzi del luogo, villeggianti con famiglie al completo, convalescenti, rampolli provenienti da altre galassie e piuttosto spocchiosi che non davano confidenza a nessuno, bambini e anziani.
    “Ehi, Rubina, ma dove vai con quel coso, guarda che non si nuota mica così!”
    “E come allora? Io senza salvagente non mi bagno nemmeno i piedi.”
    Actarus le rivolse un sorriso gentile e di rimando: “Ma se usi sempre quello non imparerai mai, prova dove si tocca, ti aiuto io, vedrai che è facile.”
    “Ho paura, no, no, ti prego…”
    Gli rispose con voce petulante e piagnucolosa.
    “Dai, vieni con me.”
    La prese per mano e la guidò verso il mare, dove in un lato c’era una corda per tenersi.
    Molti bambini e ragazzi si tenevano in equilibrio con una mano alla rete, con l’altra abbozzavano qualche movimento circolare nell’acqua.
    “Ecco, fai come loro: poco alla volta acquisterai più sicurezza e starai a galla senza paura.”
    Rubina era titubante, tuttavia si mise d’impegno nell’impresa.
    Dopo qualche minuto ci prese gusto e cominciò a divertirsi: emetteva gridolini di paura, rideva e coi piedi batteva forte nell’acqua provocando spruzzi chilometrici assieme ad altre sue coetanee.
    Da lontano ammirava Actarus che con altri giovani si spingevano al largo nuotando in un perfetto e sincronizzato stile libero.

    Era prossimo mezzogiorno, quando l’altoparlante avvertiva gli ospiti del resort di prepararsi in tempo per l’ora di pranzo.
    Rubina posò i piedi sul fondale marino e subito un granchio decisamente affamato, le addentò l’alluce.
    Urla di terrore e dolore tagliarono l’aria, quindi il bagnino corse prontamente verso la fanciulla gocciolante col granchio in bella vista che non si decideva a mollare il dito, la prese tra le sue forti braccia e corse in infermeria.
    Una giovane e gentile dottoressa evidentemente abituata a quel genere di incidenti, con ferma sicurezza tranquillizzò Rubina; uno spray antidolorifico calmò il dolore all’istante, e un cerotto rosa di Hello Kitty consolò abbondantemente la spaventata ragazzina.

    Fuori, nel bianco corridoio, Actarus l’attendeva con un sorriso rassicurante.
    “Come stai? E’ passato il male? Ti senti di mangiare qualcosa, vero?”
    Ancora lievemente sotto shock, Rubina gli sorrise di rimando e aggrappandosi al braccio di lui, un tantino zoppicante, si decise a seguirlo in sala da pranzo.

    I due ragazzi avevano fatto amicizia fin dal quel primo giorno di vacanza, si erano sentiti subito in sintonia, quindi dopo qualche ora di riposo pomeridiano, decisero di fare una passeggiata all’ombra della pineta in compagnia di qualche rivista e un buon libro.
    Entrati in confidenza, raccontarono di sé, dei lori rispettivi pianeti, della loro vita, gli studi intrapresi, le loro famiglie, gli svaghi, le passioni, le conoscenze, gli usi e costumi della loro terra.
    “Tra poche ore inizia la musica nella sala da ballo, ho visto che c’è un corso di “baby dance”, perché non ci andiamo?”
    Chiese Rubina al principe di Fleed.
    “Volentieri, ho visto che c’è più di una sala da ballo e con diversi tipi di musica, quindi possiamo dedicarci a svariate danze.”

    Verso l’imbrunire, Rubina cercò nel suo guardaroba il completino pieno di strass coi pompon, i nastri e le farfalle. I sandali rosa fuxia coi brillantini e tacco cinque, la facevano audace.
    Entrò nella sala piena di bambini, i quali al ritmo della musica, tentavano di seguire il maestro ballerino nei primi rudimenti del ballo.
    Actarus la osservava da lontano con sguardi di incoraggiamento, poi Rubina si staccò dal gruppo e gli chiese di accompagnarla al bar.
    “Tutto questo movimento mi ha messo una sete, andiamo a prendere una gazzosa?”
    Nel piano bar, brillavano per la loro presenza i più nobili e ricchi ereditieri delle vicine galassie.
    Non facevano nulla, tranne osservare con noncuranza le ragazze più belle, tenere il bicchiere di liquore sempre in mano per darsi un tono, scambiarsi notizie e novità sui succosi pettegolezzi del loro ambiente.
    “Niente male quella, cosa dici se…” chiese il principe ereditario di Galar al duca di Zari.
    “Ma non vedi che è una bamboccia, guarda come si veste! Perdi solo il tuo tempo a starle dietro, credimi, a noi ci vuole ben altro! Una come quella che sta passando adesso!” gli rispose di rimando indicando con lo sguardo una ragazza vestita in una maniera che lasciava ben poco all’immaginazione e tutta la sua persona era un implicito invito ai ragazzi di farsi avanti senza troppe formalità.
    “Per questo mi piace! Cosa scommetti che riesco a sedurla? E’ così stupida e ingenua che mi cascherà tra le braccia come una pera cotta! Poi lo stile Lolita mi è sempre piaciuto.”
    “Contento te. Vada per la scommessa, io dico che ti manda al diavolo, invece!”

    “Una gazzosa, per favore…, no, meglio un’aranciata!” Ordinò Rubina al cameriere, ma il principe di Galar la prevenne con un: “Ciao, piacere di conoscerti, mi chiamo Gex, aspetta, ti offro io da bere.”
    “No, ma io…” balbettò Rubina confusa.
    “Due doppi cognac!”
    “Ma…”
    Il giovane era alquanto sicuro di sé, scrutava la ragazza con occhio pieno di malizia, tutta la sua persona tradiva la buona discendenza, ma lasciava al contempo trapelare che a dispetto della sua giovane età, aveva già alle spalle una vita vissuta, vizi malsani, quella prepotenza mal dissimulata di chi è abituato a comandare, farsi ubbidire, ottenere tutto e subito: dai subordinati, dalle donne, dalla vita.
    Sul bancone fecero la comparsa i due bicchieri ordinati: Rubina ne assaggiò un piccolo sorso e tutta la sua espressione fu terribilmente disgustosa, mai aveva assaggiato qualcosa di tanto terribile.
    Con decisione allungò la mano verso la zuccheriera e senza esitare prese il barattolo e versò lo zucchero senza parsimonia dentro il cognac, mescolando bene col cucchiaino.
    Gex rimase letteralmente basito, ma subito un sorriso gli allargò la bocca e il cuore.
    “Versa pure e bevilo tutto in un fiato. Questa sera ho fatto tombola!” pensò malignamente soddisfatto.
    Prima che Rubina portasse alle labbra quella bevanda micidiale, una mano calda la prese per il gomito e la portò lontana da quel posto infernale.
    “Ma…, Actarus, che ci fai…, finalmente, ti avevo perso di vista.”
    Lui la guardava preoccupato e sollevato ad un tempo. Meno male! Era arrivato per un soffio.
    Senza parlare la guidò più avanti, in una sala dove c’era una musica dai toni bassi e una penombra lasciava intravedere coppie che si lasciavano trasportare dalle note.
    Anche i due giovani si unirono al gruppo e insieme provarono il primo ballo lento della loro vita, quello che non si dimentica più, quello che con un salto ti porta avanti all’improvviso, tra gli adulti, ti senti grande, diverso, soprattutto quando c’è già sintonia nella coppia.


    Così passavano i giorni e la vacanza era ormai agli sgoccioli.
    Durante quelle settimane, Rubina aveva finalmente imparato a nuotare, lasciato perdere la “baby dance” assieme ai cerotti Hello Kitty, i lecca lecca, le gare a chi faceva i palloni più grossi con le gomme da masticare, relegato in fondo alla valigia l’orsacchiotto di peluche, il salvagente, i lustrini, il gusto kitsch.
    In cambio aveva acquisito buon gusto e maniere raffinate, modi più adulti, una certa scaltrezza da usare all’occorrenza e questo soprattutto era avvenuto per la vicinanza di un ragazzo davvero speciale che l’aveva fatta sentire unica.

    E fu così che arrivò il giorno dell’episodio della barchetta citato in prima pagina.

    E POI SCOPPIO’ QUESTA MALEDETTA GUERRA!

    Il giorno stabilito per la partenza, una notizia totalmente inaspettata, un fulmine a ciel sereno sconvolse tutti gli ospiti della vacanza del pianeta Bez.
    Re Vega aveva attaccato Fleed di sorpresa e voleva sottomettere tutta la nebulosa.
    Ci fu un improvviso fuggi fuggi, nervosismo, notizie contradditorie si materializzarono in quel luogo ameno. Rubina e Actarus si salutarono di corsa: dovevano tornare a casa, capire cos’era successo, fare qualcosa.
    “Noi siamo amici Actarus, sono certa che tutto ciò che è accaduto sia dovuto solo a malintesi…”
    “Sì Rubina, ma ora dobbiamo lasciarci, addio!” E di corsa, il principe salì sulla navetta.
    “Arrivederci, scrivimi e ricordati di telefonarmi appena arrivi a casa, non farmi stare in pensiero!”


    FINE
     
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    MARCHIO DI QUALITA’

    1-17103203197997

    Manuale della Qualità
    Base lunare Skarmoon

    Organigramma
    Presidenza: Re Vega
    Segretario Generale: Ministro Zuril
    Ufficio di Controllo: Comandante Gandal
    Organismo Indipendente di Valutazione: Lady Gandal
    Sistema Informativo: Generale Hydargos
    Logistica: Magazziniere Generale Aris
    Segreteria: Sua Altezza Principessa Rubina


    Politica per la qualità
    Conquistare il pianeta Terra e tutte le galassie dell’universo con minima spesa e massima rendita.
    Coesione sociale e sostegno ai più deboli e ai dipendenti dall’alcol.
    Miglioramento della “qualità della vita”: ridare vita e vigore al pianeta Vega dopo esplosione per inquinamento-vegatron.
    Innovazione del sistema locale: cambiare in modo radicale l’arredamento alla base lunare. Giardini pensili con rose e fiori, arbusti e siepi.
    Potenziamento della mobilità e del sistema viabile: niente formazioni di minidischi, tanto vengono sempre abbattuti.
    Promozione dello sviluppo del territorio: far capire a tutti, con le buone o con le cattive che i padroni dell’universo sono i veghiani.
    Ascolto del territorio e dei suoi attori istituzionali, economici, sociali e dei cittadini: sono solo dei sudditi. Zitti e mosca!
    Sviluppo di relazioni esterne: terra bruciata degli abitanti di tutte le stelle e galassie.


    Al fine di sostenere il Sistema di Gestione per la Qualità e la Politica per la Qualità dell’organizzazione, la Direzione ha nominato un Responsabile Gestione Qualità per la definizione ed implementazione del sistema secondo le prescrizioni della norma UNI EN ISO 9001, utilizzando gli indicatori di performance più appropriati.
    Elenco macroprocessi: eliminare le mezze calzette e con quali sistemi.
    Elenco servizi: quanti servizi igienici conta, la base lunare?

    Procedure Gestionali
    Gestione della Documentazione e delle Registrazioni: mostri in attivo, in giacenza, in deperimento.
    Gestione Non Conformità e Reclami: solo il Re ha diritto a fare reclami.
    Azioni Correttive e Preventive: buttare nella fornace ardente i traditori, i festaioli, i mangia pane a tradimento.
    Gestione Approvvigionamenti e Fornitori: vegatron, acciaio, lega, super lega.
    Gestione Progettazione: quando e come si fabbricano mostri e minidischi.
    Pianificazione Strategica: quando e come attaccare.
    Visite Ispettive Interne: Esame col Certificatore di Qualità!

    Da molti mesi, alla base lunare Skarmoon c’era un gran fermento. Dopo una lunga serie di fallimenti e ingenti spese nel tentativo di conquistare la Terra, i veghiani avevano deciso che bisognava cambiare tattica. Ma come?
    Il ministro Zuril, al ritorno da un lungo viaggio di ricognizione, aveva avuto modo di constatare che molte attività aziendali sparse nella galassia, avevano acquisito il Marchio di Qualità.
    Deciso a saperne di più sull’argomento, si era iscritto al sito e studiato il tutto nei minimi particolari. Ben presto, la situazione generale gli era stata molto chiara: se speravano di tornare in pista forti e vincenti, dovevano subito darsi una regolata. Le spese superflue per costruire mostri di scarto, la bassa qualità di molte formazioni di minidischi, personale in esubero e altro; erano costi inutili e andavano eliminati. Occorreva una vera e propria messa a punto di tutto il sistema se volevano essere i conquistatori numero uno.
    Re Vega non era stato subito d’accordo.
    “Ma che qualità? Noi siamo i più agguerriti dell’universo e basta. Andiamo avanti come sempre e conquisteremo tutto ciò che vogliamo.”
    Zuril se lo aspettava, quindi gli mostrò i punti deboli del loro sistema e perché le loro armi belliche venivano sistematicamente sconfitte dai terrestri.
    “Mi sono permesso di far venire qui oggi stesso un certificatore esperto, il quale ci seguirà passo passo fino al giorno dell’esame, anzi, della Visita Ispettiva.”
    “Della cosa??!” domandò il sire strabuzzando gli occhi.
    “Visita Ispettiva. Se saremo conformi ci verrà dato il Marchio di Qualità, altrimenti torneranno dopo alcuni mesi per vedere su tutto è a posto”, gli rispose lo scienziato.
    Prima che il sire avanzasse altre obiezioni, tirò fuori dal cassetto alcune dispense.
    Gandal apparve nel vano della porta per annunciare che l’Ispettore era già arrivato.
    Re Vega si rese conto che i suoi sudditi avevano fatto progetti senza consultarlo e questo lo mandava in bestia. Al tempo stesso, non poteva negare che c’era davvero bisogno di mettere a posto molte cose.
    Mentre rimuginava tra sé, ecco apparire nella sala di comando un uomo di mezza età, brizzolato e dall’aspetto distinto e severo. Si avvicinò al re e gli porse la mano, poi si accomodò sulla poltrona vicina alla scrivania e, come fosse a casa sua, tirò fuori dalla borsa un grande quaderno, biro multicolori e dei fascicoli.
    “Buongiorno” disse non appena si fu accomodato.
    “Benvenuto…” balbettò re Vega sentendosi molto a disagio.
    In meno di mezz’ora, il dottor Koshimo aveva stilato una lunga lista di cose urgenti da fare, definito il ruolo degli addetti ai lavori, poi aveva preteso di vedere il magazzino.
    “Qui c’è troppo materiale di scarto e i suoi operai sono allo sbando” sentenziò in tono diretto.
    “Coosaaa??!”
    “Maestà, lei per primo deve darsi una regolata, altrimenti come pensa di mandare avanti il suo impero?”
    “Una cosa? Ma regolata di che? Sono io il re, sono io che dò gli ordini, io comando, posso e voglio!!!” urlò con quanto fiato aveva in gola.
    L’Ispettore non fece una piega, si rivolse invece a Zuril: “La segretaria dove la trovo?”
    “Ehm… è a casa, ma possiamo contattarla in video chiamata, venite nel mio studio.”
    Zuril digitò alcuni numeri sulla tastiera del computer e, pochi secondi dopo, apparve nel monitor una graziosa ragazza dai lunghi capelli rossi.
    “Buongiorno, signorina, come va? C’è qui l’Ispettore della Qualità e ha bisogno di lei” le disse lo scienziato in tono serio e professionale.
    La principessa Rubina strabuzzò gli occhi. Che cosa stava dicendo quel cretino? Quale ispettore?
    “Ecco qua la nostra segretaria, dottore. E’ efficientissima, bravissima, una vera perla, glielo garantisco io”, gli disse con un sorriso affettato.
    “La perla rara, ha finito di battere a macchina il Manuale della Qualità e le Procedure Gestionali?” chiese il dottore con tono di sufficienza senza guardarla, mentre intanto sfogliava i fogli sparsi sulla scrivania, leccandosi il dito ogni volta.
    “Di cosa state parlando? Chi è quell’uomo e cosa vuole?”
    L’uomo si era un attimo allontanato per riprendere la sua borsa, quindi Zuril ne approfittò per spiegare brevemente la situazione.”
    “… voi siete la segretaria e dovete venire qui a scrivere, poi essere presente il giorno dell’esame” sussurrava lui in fretta e sottovoce.
    “La segretaria di che? Tu hai bevuto, sei fuori come un balcone” gli rispose arrabbiatissima.

    Segretaria? Scrivere a macchina? Manuale? Procedure? Erano tutti impazziti in quella base?
    Il dottor Koshimo intanto, si stava congedando sulla porta.
    “Torno la prossima settimana e mi aspetto che tutto sia a posto.”

    Rimasti soli, il ministro spiegò a Rubina i dettagli della Qualità e che c’era bisogno della sua presenza.
    “Siamo messi male, troppe sconfitte e perdite ingenti. Mi sono reso conto che l’unica strada per riprendersi, sia mettere a punto ogni cosa e per fare questo occorre l’aiuto di un esperto.”
    “Ma… ma… io non voglio scrivere, perché non lo fa quella scansafatiche di Lady Gandal, piuttosto?”
    “La signora ha già il suo ruolo.”
    “Quale? La stura lavandini?” ribattè lei con tono feroce e un fondo di sarcasmo.
    “Organismo Indipendente di Valutazione” le rispose scandendo bene le sillabe, mentre le mostrava il foglio dove c’erano scritte le funzioni di ognuno.
    “A domani mia cara e fate sogni d’oro” le disse mellifluo, mentre tosto interrompeva la comunicazione.

    Il giorno dopo, una Rubina rassegnata prendeva il volo verso Skarmoon.
    Ancora non aveva parcheggiata la navetta nel vasto piazzale della base lunare, che già vedeva dai vetri dell’edificio, due grandi zampe verde brillante agitarsi e farle cenno di sbrigarsi.
    “Ma che vuole? E chi si crede di essere? Non comanda mica lui!” borbottò tra sé piuttosto scontenta.
    Appena ebbe varcato l’ingresso, Gandal e consorte erano sulla soglia pronti a riceverla.
    “Ha fatto buon viaggio, Altezza?” chiese il Comandante con premura.
    Lei tirò dritto senza rispondere, ma non ebbe nemmeno il tempo di sistemare il bagaglio nella sua stanza, che Zuril le passò davanti uscendo improvvisamente dallo studio.
    “Buondì! Pronta per consumare le dita sulla tastiera?” l’apostrofò con un largo e ironico sorriso.
    “Credi di essere simpatico?”
    “Non so, non è un problema. Se anche non sono un campione di simpatia, l’Ispettore per questo non ha titolo di mettermi una non conformità.”
    “Fosse per me ti metterei dentro un missile con viaggio di sola andata” lo sfidò fissandolo bene in faccia.
    “Ohh, vedo che la signorina si è svegliata con una o più lune per traverso. Non c’è problema, perché tutte quelle dispense che vedi sulla scrivania vanno messe in bella copia, poi ne devono essere stampate almeno un centinaio. Domande?”
    “No! Esci, sparisci una dannata volta!” gridò lei, chiudendo la porta dello studio con un calcio ben assestato.
    Rassegnata, si mise davanti al computer e iniziò a trascrivere tutti quei fogli pieni di svolazzi e scarabocchi spesso quasi incomprensibili. Non aveva voglia di chiedere aiuto a nessuno, quindi fece come meglio potè; se anche c’erano errori di battitura si sarebbe comunque potuto intervenire.
    Verso il tramonto, la ragazza decise che ora venuto il momento di fermarsi. Non aveva finito, ma non ne poteva più. Aveva fame e vedeva tutto appannato.
    Si ritirò nella sua stanza: premette un pulsante e si fece servire la cena in camera. Non aveva voglia di vedere né salutare nessuno. Ancora non le era ben chiara quella storia della certificazione di qualità e non sopportava i modi di comando che Zuril si era permesso con lei.
    “Adesso ho solo voglia di riposare, ma domani lo faccio capire a tutti che la principessa sono io! E se non capiscono con le buone, userò il pugno di ferro!” pensò spegnendo la luce.

    Si svegliò di buon mattino fresca e riposata. Appena si fu vestita, andò dritta negli appartamenti di suo padre. Il giorno prima si erano visti un attimo di sfuggita, ma adesso voleva parlare con lui per capire ogni cosa.
    Nel corridoio vide passare alcuni operai addetti al reparto magazzino: erano tutti con la divisa grigia e camminavano a passo di marcia. Che strano. Mai viste uniformi del genere.
    Nella grande Sala del Trono, re Vega stava conversando con Gandal e consorte. Zuril entrò dalla porta laterale e teneva in mano una scatola che mise sotto gli occhi del sovrano.
    “Guardi bene maestà: questo è il campionario delle medagliette in oro a forma di Q.”
    “Mmm…” borbottò di malumore “e quanto ci costeranno?”
    “Mi sono fatto fare un preventivo e diciamo che ne occorreranno oltre un centinaio, quindi a fare bene, l’orefice mi ha detto…”
    Si chinò verso l’orecchio di Vega e sottovoce gli disse l’importo.
    “Ma come? E’ troppo! In questo momento non possiamo, lo sapete bene anche voi.”
    “E’ un investimento” gli rispose con calma imperturbabile.
    Il re divenne molto serio, mentre confuso prendeva in mano quei piccoli gioielli e li soppesava.
    “Ohhh, Sua Altezza si è alzata di buon mattino. Buongiorno cara, avete riposato bene? Avete lavorato troppo ieri? Vi siete stancata? Dopo mi mostrerete il lavoro svolto” le disse guardandola con sguardo lascivo.
    Rubina lo incenerì con lo sguardo e non gli rispose. Si accomodò sulla poltrona di velluto e attese di rimanere sola col padre.
    “Cara, ben alzata! Tutto bene?” le chiese con premura.
    “Sì, però ecco… io… volevo sapere…”
    “Andiamo nello studio, così mettiamo a punto ogni cosa. Hai scritto l’Organigramma? L’Ispettore della Qualità ci farà delle domande a tutti. Dobbiamo studiare bene i nostri compiti. Tu sei la Segreteria Operativa, sono fiero di te!”
    “Veramente io non ho ancora capito cosa…” balbettò la giovane alquanto spiazzata.
    Re Vega l’accompagnò nella stanza vicina e aprì l’anta di un armadio a muro.
    “Ecco qui l’abito giusto per il tuo ruolo. Ti piace? Provalo ora.”
    Un grigio e severo abito a giacca stava appeso ad una gruccia. Rubina lo guardò con ripugnanza. Ma perché tutti avevano l’aria di sapere le cose senza spiegarle fino in fondo, perché le davano ordini?
    Il re non si avvide della sua espressione triste, ma la guidò fino alla porta dello studio dove lei il giorno prima si era consumata la vista a furia di scrivere.
    Zuril stava già esaminando i fogli tutto assorto e con cipiglio severo.
    “Qui non hai messo la virgola, manca il punto 3, non si capisce il mio ruolo, ci sono errori di battitura” diceva senza guardarla.
    “Solo per questi sbagli ci becchiamo almeno una non conformità. Sai cos’è, vero?” riprese fissandola.
    “Zuril, mia figlia è qui per fare insieme il punto della situazione.”
    “Questo è il minimo. Ah, ecco l’abito da segretaria, provalo subito. Dopo ti sistemo anche l’acconciatura.”
    “Ma io…” mormorò lei sentendo un nodo alla gola.
    Tuttavia, pur di non sentire altri rimproveri, prese quel brutto vestito e andò a provarlo.
    “Perfetta! I capelli vanno raccolti in modo sobrio e completiamo il tutto con questi occhiali” affermò lo scienziato. Nel dirlo, estrasse da una scatola un paio lenti da miope e senza tanti complimenti li posò sopra gli occhi della ragazza.
    “Anche la forma è importante. Visto come gli operai sono vestiti bene? Tutto organizzato da me, naturalmente” diceva Zuril senza ombra di modestia.

    In capo a una settimana i lavori per ottenere il tanto sospirato marchio di qualità erano terminati.
    La Visita Ispettiva era stata decisa. Il mattino successivo, alla base lunare, due ispettori avrebbero esaminato ogni particolare e deciso per la promozione o il rinvio.
    Per tutti quei giorni Rubina aveva taciuto e fatto secondo le indicazioni, ma solo perché sapeva che quel momento presto sarebbe finito. Sembrava che il padrone fosse Zuril: correva da un punto all’altro della base come una saetta, non si stancava mai, controllava ogni particolare. Osservava suo padre, ma non vedeva in lui ombra di malcontento. Possibile che accadesse tutto ciò? Anche Gandal e signora erano su di giri, si sentivano importanti e davano ordini a destra e a manca.

    Il pomeriggio del giorno prima dell’esame erano tutti e quattro davanti al computer per leggere l’email che riportava la data, l’orario, i nomi dei due ispettori. Erano un uomo e una donna.
    Incuriositi, cercarono qualche foto sparsa in rete. La dottoressa si chiamava Blumarine e dal suo profilo si vedeva una giovane donna dalla folta chioma amaranto, i lineamenti delicati.
    Il dottor Nivalis era un bell’uomo dall’aria sana e sportiva. Capelli a spazzola e sorriso accattivante.
    I cuori dei veghiani respirarono sollevati. Zuril subito pensava come circuire la ragazza e invitarla a cena, mentre Rubina già fantasticava su quel dottore tanto affascinante.
    Andarono a dormire contenti; avevano fatto del loro meglio e non sarebbero mancate soddisfazioni… di molti generi. Così pensarono prima di sprofondare nel sonno ristoratore.

    Alle sette del giorno dopo erano già tutti in piedi, vestiti, lavati e profumati.
    Rubina si era rassegnata a quel vestito da signora di mezza età, ma sotto la giacca portava solo due gocce di profumo e non aveva allacciato tutti i bottoni.
    I coniugi Gandal avevano fatto peeling, pedicure e manicure. I chilometrici piedi di Gandal avevano le lunghe dita divise da cotone idrofilo. “Così lo smalto viene meglio, altrimenti si sbava tutto” asseriva la donna, limando bene le unghie delle mani.
    Zuril aveva fatto un lungo bagno con acqua di colonia. Si era messo un abito nuovo, di gran taglio e gran classe. Verde come la sua epidermide, ma dai toni sfumati.
    Re Vega era davvero un re in tutti i sensi. Lungo e ampissimo mantello scarlatto adornato di ermellino pregiatissimo. La corona aveva tutti i gioielli della casa reale; scettro in mano e cipiglio severo.

    Verso le nove sentirono aumentare l’agitazione. Da un momento all’altro sarebbero arrivati i due certificatori e chissà se tutto ciò che avevano fatto era conforme.
    Batticuore, sudori freddi, fine tremore per tutto il corpo si erano impadroniti di loro; almeno fossero arrivati subito, così forse la tensione si sarebbe placata.

    Un quarto d’ora dopo, dalla grande vetrata videro una navetta atterrare nel piazzale della base.
    Ognuno andò al proprio posto: Re Vega nella poltrona reale dello studio, Zuril ai comandi del computer, Rubina sulla soglia della porta, mentre Gandal e signora uscirono per riceverli con tutti gli ossequi.
    Il Manuale della Qualità e il fascicolo delle Procedure Gestionali facevano bella mostra sul tavolo. Rubina li fissava con orgoglio; era stata lei a scrivere tutta quella roba, e benchè agli inizi avesse provato fastidio e insofferenza nel portare a termine quel compito, ora si sentiva diversa, il suo nuovo e insolito ruolo aveva finito per piacerle. Stava accarezzando l’idea di improntare quel sistema su Rubi, di certo le avrebbe procurato un mare di vantaggi positivi.
    Zuril già sbavava all’idea del nuovo mostro fiammante DOC! Nella sua fertile immaginazione se lo figurava altissimo, rosso fiammante e con una grande Q sulla testa.
    Tremate terrestri, tremate… la vostra ora è arrivata… siamo noi i padroni.
    Re Vega era gonfio e tronfio come un tacchino ripieno. Avidità, cupidigia e smania di possesso invadevano la sua persona e lievitavano dentro il suo animo come una torta nel forno.
    Gandal e la sua dolce metà stavano ognuno ai lati del portone d’ingresso. Erano seri e molto compresi nella parte, ci tenevano a fare una splendida figura.

    Video due ombre delinearsi a terra e avanzare. Con timore alzarono lo sguardo all’unisono e come videro quei personaggi, per poco non stramazzarono a terra per lo spavento.
    Un uomo altissimo, con occhi spiritati e per di più strabici li fissava. Capelli a raggiera molto voluminosi dalle punte variopinte. La lingua spuntava fuori dalla bocca sul lato sinistro, mentre un unico e grosso dente era appeso alla gengiva in alto. Avanzava coi lunghi piedi camminando a papera.
    I due Gandal non si erano ancora ripresi dallo shock, che videro al seguito di quell’essere una donna bassa e larga, ricordava una poltrona marrone di cuoio. Occhiali da miope e i capelli multicolori a causa di tinture sovrapposte. Mani e piedi rosa molto corti, una vocetta di zanzara che chiedeva: “E’ questa la base Skarmoon?”
    Il Comandante Gandal si riprese per primo, quindi li scortò fino alla porta dello studio.
    Quando i presenti li videro, pensarono: Aiuto, i mostri, i mostri!
    Fecero appello a tutto il loro self control, ma riuscirono a malapena a biascicare un buongiorno appena udibile.
    “Buongiorno!” dissero i due in coro e ad alta voce.
    “La Visita Ispettiva inizia ora e termina a mezzogiorno. Per prima cosa mostrateci i fascicoli.”
    Con mani tremanti, Rubina porse loro i due libri.
    L’uomo iniziò a sfogliarli umettandosi il dito ogni volta con la saliva.
    “Prima non conformità: manca il numero del Manuale” poi, dopo aver letto altre pagine, alzò gli occhi verso la giovane e le chiese: “E’ lei la Segreteria Operativa?”
    “S… sì…”
    “Ha fatto degli errori, non è idonea al suo ruolo.”
    “Anche l’abbigliamento non è idoneo: una segretaria deve avere un look molto più casto”, aggiunse quell’orribile donna con severità.

    Intanto, tutti si chiedevano che ci facevano lì quei disgustosi personaggi, quando dalla ricerca fatta in rete, erano risultati due ispettori di ben diverso aspetto.
    “La signorina ha fatto un buonissimo lavoro ispettore, credo che se lei legge meglio vedrà che…” balbettò Zuril sentendosi per la prima volta fuori posto e imbarazzato.
    “Mi mostri il lavoro in magazzino” gli ordinò l’uomo.
    “Prego, da questa parte.”
    I soldati stavano tutti sull’attenti e sfoggiavano la divisa nuova. Gli addetti alla fabbricazione minidischi vennero interrogati uno per uno e sul notes vennero scritti i voti.

    “Ancora non abbiamo parlato col Presidente, facciamolo ora”, decisero i due esaminatori.
    “Gli operai non hanno risposto a tutte le domande, la maggior parte non è idonea e ci sono troppi scarti durante la produzione” dissero i due arroganti a Zuril lungo il tragitto che li portava alla Sala del Trono.
    “E ciò significa una cosa sola: che lei, in qualità di Segretario Generale non li ha seguiti a dovere. Due non conformità! La Logistica, in arte Aris, non ha il magazzino aggiornato. Bocciato!”
    Lo scienziato stava fremendo di rabbia mista a senso di ingiustizia e non sapeva cosa dire.
    Da una porta laterale uscì Lady Gandal mentre teneva in mano un vassoio con sopra alcune tazzine di caffè.
    “Prego, volete favorire?” chiese tutta mielosa.
    “Lei non è forse l’Organismo Indipendente di Valutazione?” le chiese quella poltrona semovente.
    “S… sì, perché?”
    “Non ha valutato un bel niente, quindi si becca subito una non conformità!”
    Da dietro, la donna le fece una lingua chilometrica per la rabbia. Gandal aggiunse anche un paio di corna, ma prima ancora che rimettesse le dita al suo posto, l’esaminatore gli chiese dov’era l’addetto al Sistema Informativo.
    “Leggo che si chiama Hydargos. Dove trovo questo personaggio, di grazia? Essendo lei il responsabile dell’Ufficio di Controllo deve per forza saperlo.”
    “E’ in cantina.”
    “Prego?” chiese l’ispettore strabuzzando quei terribili occhi strabici e sporgenti.
    “In c-a-n-t-i-n-a- Ha capito?”
    “E per fare cosa?”
    “Per bere, ubriacarsi e dimenticare” spiegò Lady Gandal tutta inviperita.
    “Bocciato e cancellato dal registro” annotò la donna-poltrona.

    Finalmente il lungo corridoio finì e si trovarono di fronte al sovrano. Rubina stava in una piccola sedia posta in un angolo, occhi a terra, tutta confusa e dispiaciuta.
    Vega si alzò e mostrò ai due ispettori la scatola con le Q in oro zecchino che gli erano costate un occhio.
    “Accomodatevi, prego. Sono certo che la nostra organizzazione vi avrà entusiasmato, ci siamo così impegnati che per forza ci meritiamo il Marchio Qualità. Ho già fatto preparare le spille in oro, e se mi permettete, voglio che siate i primi ad aver l’onore di questo piccolo omaggio.”
    Così dicendo, il sovrano estrasse dalla scatola due Q e le porse a quei due arroganti e disgustosi personaggi.
    “Ne faccia a meno! Questa inutile spesa poteva risparmiarsela, dato che da quanto abbiamo esaminato, si evince che non navigate certo nell’oro, non siete conformi a nulla, quindi il marchio di qualità ve lo sognate!” setenziò quell’orribile donna, mentre il collega afferrava la valigetta e s’incamminava verso l’uscita.
    “Noi ce ne andiamo” disse ai presenti una volta sulla soglia “se vi impegnate seriamente, fra un paio di anni forse ce la farete, ma non ci giurerei. Quello che ho visto oggi, mi ha fatto capire che ancora non ne avete un’idea. Nessuno di voi ha capito niente, nemmeno lei maestà. Addio!”
    A grandi e veloci passi arrivò alla navetta; la sua collega invece, con quei piccoli e grassi piedi camminava piano e a fatica.

    I veghiani erano davvero a terra e senza parole. Mai avrebbero creduto di non essere promossi. Quello che non sopportavano era il modo spiazzante e antipatico con cui erano stati trattati da quei personaggi.
    “Sono dei mostri!” gridò Rubina alzatasi e scaraventando la sedia a terra con rabbia.
    “Non capiscono niente!” aggiunse Zuril.
    “E chi dice che davvero siano qualificati?” insinuò Gandal.
    “Io so solo una cosa” mormorò il sire meditando.
    “Cosa?” chiesero tutti in coro.
    “Che sono dei mostri. Capite cosa intendo?”
    A quelle parole del re, i visi dei presenti si illuminarono tutti all’unisono.
    “E allora che mostri siano! Usiamoli come mostri!” gridò Zuril.

    Detto e fatto. La donna-poltrona ancora arrancava per uscire, mentre il collega già aveva acceso il motore della nave per partire.
    Tutti e quattro - cinque con Lady Gandal che si era dissociata dal consorte – corsero verso di loro, li agguantarono in men che non si dica, poi chiamarono il capo reparto perché portasse un carrello elevatore.
    In pochi minuti, i due ispettori, impacchettati come salami, giacevano nel reparto “Fabbricazione mostri contro i terrestri.”

    “Ce l’abbiamo fatta” disse Zuril.
    “Entro domani il mostro da lanciare contro Goldrake dovrebbe essere pronto.”
    “Bene, sono sicuro che non se l’aspettano” gli rispose Gandal strizzandogli l’occhio.
    “Questo no! Vorrei vedere la faccia di Procton quando nel monitor gli appariranno le facce di quei due!” esclamò ridendo la consorte.
    “Quando mai si sono visti arrivare un mostro DOC?” concluse re Vega stappando una bottiglia.


    FINE
     
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